Fiorentina: dal miracolo natalizio contro l’Udinese alla rivoluzione Paratici

Al Franchi, in questo dicembre che sa di umidità e di rimpianti, è finalmente arrivata una vittoria viola che sembrava un’utopia: un 5-1 all’Udinese, agevolato dall’espulsione del portiere friulano dopo soli sette minuti, con gol di Mandragora, Gudmundsson, Ndour e una doppietta di Kean che ha fatto esplodere – seppur timidamente – le tribune semideserte. Un risultato rotondo, che ha interrotto un digiuno di successi in campionato durato sedici giornate, ma che non cancella la realtà crudele: la Fiorentina resta inchiodata all’ultimo posto in classifica con 9 punti, a cinque lunghezze dalla zona salvezza, con una media punti da retrocessione diretta che farebbe impallidire persino le stagioni più tormentate del passato recente.Paolo Vanoli, paracadutato a novembre dopo l’esonero di Stefano Pioli – rientrato in estate tra squilli di tromba e contratto pluriennale, per poi affondare in un mare di zero vittorie e tensioni interne – ha colto il suo primo trionfo stagionale proprio sotto l’albero di Natale, ma guai a illudersi che sia il turning point: la trasferta a Parma è già un test da sopravvivenza, e la Curva Fiesole, con la sua contestazione programmata e gli spalti vuoti nei primi minuti, ha mandato un messaggio chiaro come il cielo grigio sopra Firenze. Rocco Commisso, dal suo ponte di comando americano, continua a giurare che la società non è in vendita, mentre firma versamenti personali per tenere a galla la baracca: dal 2019 ha immesso quasi 500 milioni tra acquisto del club, Viola Park e ripianamenti vari, eppure i bilanci chiudono puntualmente in rosso. L’ultimo, al 30 giugno 2025, certifica una perdita di 23,2 milioni, con debiti balzati a 125,3 milioni e ricavi da stadio crollati a 11,2 milioni causa i lavori eterni al Franchi. L’indice di liquidità FIGC e i parametri UEFA incombono come un incubo, e senza plusvalenze fresche gennaio rischia di essere un mercato blindato. Sostenibilità, si chiama: la Fiorentina ci galleggia grazie alla generosità del patron, ma continuare a spendere senza incassare sarebbe come sfidare la gravità con un sorriso.E qui arriva il colpo di scena dirigenziale, quello che sa di commedia all’italiana con retrogusto amaro: Fabio Paratici è praticamente fatto, strappato al Tottenham con un contratto pluriennale e pieni poteri sull’area tecnica. Non arriverà da solo, pare: con lui un nuovo capo scouting, forse Lorenzo Giani, per rinforzare un settore che da anni sembra navigare a vista. Dopo le dimissioni di Daniele Pradè a novembre – perfetto capro espiatorio per un mercato estivo da oltre 90 milioni rivelatosi un disastro epico – e la promozione interna di Roberto Goretti, soluzione casalinga e low-profile che ha tenuto botta ma non basta per domare la tempesta, ecco Paratici: un ex Juve con molteplici squalifiche alle spalle ma un palmarès che parla da solo. Ironia del destino: mentre il gotha della Serie A sogna profili inarrivabili, Firenze si “accontenta” di un dirigente che sa vincere, anche se con un bagaglio controverso. Meglio un Paratici con esperienza vera che un altro giro di improvvisazione, si direbbe, anche se il cronico ritardo nelle decisioni sembra il vero DNA di questa gestione: perché non prima, quando la nave già rollava pericolosamente?Il mercato di gennaio, dunque, dovrà essere un intervento a cuore aperto, non un mercatino delle pulci. La rosa viola, sulla carta da Europa, annovera De Gea in porta; difensori come Pongracic, Comuzzo, Ranieri, Gosens, Dodò, Parisi; centrocampisti con Fagioli, Mandragora, Fazzini, Nicolussi Caviglia, Ndour, Sohm; attaccanti come Kean, Gudmundsson, Piccoli e il veterano Dzeko. Eppure, tra scarsa coesione e risultati che urlano vendetta, il primo imperativo è: plusvalenze per respirare e rispettare i parametri. Gudmundsson ha già pretendenti (Roma in prima fila), Dodò pure (Inter a 15 milioni?), e qualche prestito potrebbe rientrare alla base. Sacrifici obbligatori: sognare di tenere tutti gli intoccabili equivarrebbe a un suicidio collettivo, con tanto di applausi dagli avversari.Chi blindare senza se e senza ma? Moise Kean, che con la doppietta all’Udinese ha ricordato di essere l’unica punta affidabile; Pietro Comuzzo, giovane da custodire gelosamente; Rolando Mandragora, per grinta e sostanza in mezzo, è stato finora il migliore della squadra. E i giovani come Ndour o Fortini, affamati e a costo zero, ideali per una guerra salvezza.Cosa serve, quindi? La difesa è un colabrodo: un centrale esperto e low-cost, magari uno come De Vrij dall’Inter in prestito fino a giugno, per dare esperienza e continuità, o profili simili. A centrocampo manca un mediano roccioso e un regista che sappia far girare la squadra: prestiti secchi da big, niente follie. Davanti, se parte Gudmundsson, anche se la speranza è quella di trattenerlo, un’ala concreta e veloce o forse due, per permettere a Vanoli di poter variare modulo quando serve, magari optando anche per un 4-3-3: solo operazioni furbe, riscatti opzionali legati alla salvezza. Acquisti definitivi milionari? Fantascienza, con le casse in sofferenza. Paratici, conoscitore di mercati internazionali, dovrà pescare jolly con budget risicato, sfoltendo una rosa gonfia e demotivata.Vanoli ha già sparato l’ultimatum: “Via chi non corre”. Parole d’oro, in un gruppo dove troppi sembrano in gita mentre la barca affonda. Paratici valuterà anche la panchina, ma per ora serve continuità. La Fiorentina ha le basi per salvarsi – la rosa non è da Serie B – ma occorre una scossa vera: meno proclami atlantici, più fatti sul campo. Altrimenti, il centenario del 2026 rischia di essere brindato in cadetteria, e quella sarebbe una beffa troppo amara persino per una città che ha imparato a soffrire con stoica eleganza. Forza viola, ma con i piedi ben piantati: il miracolo natalizio è servito, ora non roviniamolo a Capodanno. E, per favore, senza i consueti ritardi epocali.

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