Chi arriva ultimo paga da bere

Al 93esimo minuto, quando Orban ha infilato per la seconda volta de Gea, il Franchi ha emesso un suono che Firenze non sentiva da decenni: un silenzio rotto solo da qualche fischio stanco e da un coro isolato, “Fate ridere”, che sembrava più una resa che una contestazione. La Fiorentina, quella che solo diciotto mesi fa sfiorava trofei europei e sognava la Champions, ha perso lo scontro diretto con il Verona, è rimasta a zero vittorie in quindici giornate di campionato e guarda la zona salvezza da otto punti di distanza. Ultima, sola, con sei miseri punti racimolati tutti in pareggi che somigliano più a condanne sospese che a risultati utili.È una fotografia impietosa, quasi surreale, di una squadra che sembra aver smarrito non solo i punti, ma l’identità stessa. E mentre la squadra fuggiva in van verso il Viola Park – destinazione ritiro a tempo indeterminato – la città si è chiesta come si sia arrivati a questo punto. Non è solo una crisi di risultati: è un cortocircuito generale che coinvolge panchina, spogliatoio, dirigenza e, inevitabilmente, proprietà.Partiamo dalla panchina, che in questa stagione sembra un sedile eiettabile. Raffaele Palladino, l’uomo che l’anno prima aveva portato i viola a un soffio dalla finale di Conference, se n’è andato a fine maggio per “divergenze” con la società, lasciando un contratto milionario sul tavolo. Al suo posto è tornato Stefano Pioli, osannato come il salvatore, “Pioli is on fire” riecheggiava ancora nei corridoi del Viola Park. Risultato? Dieci giornate, zero vittorie, quattro pareggi e un esonero a novembre. Entra Paolo Vanoli, prelevato dal Torino con risoluzione consensuale, presentato come l’uomo del 3-5-2 operaio, del lavoro duro, della mentalità veneta. Bilancio dopo sette partite totali: una vittoria (in Conference, contro la Dinamo Kiev), due pareggi e quattro sconfitte. In campionato, due pari iniziali seguiti da tre ko di fila, l’ultimo dei quali contro un Verona che fino a ieri sembrava destinato a fare da compagno di viaggio verso la B.Vanoli, poveretto, si ritrova a gestire una squadra che in campo appare impaurita, fragile, priva di quella cattiveria che servirebbe per lottare nella palude della bassa classifica. Ha provato a scuoterla con doppie sedute, con richiami pubblici (“Non servono giocatori, servono uomini”), con il ritiro punitivo. Ma i risultati dicono che, per ora, la scossa non è arrivata. La dirigenza, in costante contatto con Rocco Commisso oltreoceano – il presidente che per motivi di salute non può volare ma segue tutto da remoto – ha confermato fiducia “almeno fino a domenica”. Traduzione: Vanoli è appeso a un filo sottile come un capello di Gudmundsson. Se la trasferta di Losanna in Conference e la gara interna con l’Udinese, non porteranno punti pesanti, il terzo cambio in panchina stagionale diventerà realtà. E a quel punto, chi arriva? Si parla di Davide Ballardini, specialista delle imprese disperate, avvistato al Franchi proprio domenica; di un ritorno di Beppe Iachini, che a Firenze conosce ogni angolo buio della lotta salvezza; persino di un interim con Daniele Galloppa, il tecnico della Primavera che già fece da ponte tra Pioli e Vanoli. Scegliete voi il profilo: l’importante è che sappia gestire una squadra terrorizzata dall’idea di retrocedere.Ma il problema non è solo l’allenatore, chiunque esso sia. Lo spogliatoio viola è un vespaio. Tensioni, discussioni, episodi che raccontano di un gruppo che non rema compatto. L’immagine simbolo rimane quel rigore contro il Sassuolo: battibecco tra chi voleva tirarlo, errori dal dischetto, poi la rimonta subita in pochi minuti. Ex giocatori come Brocchi hanno parlato chiaro: “Il problema non è Vanoli, è lo spogliatoio”. Qualcuno pensa più all’interesse personale che al collettivo. I big – Gudmundsson, Dodò, forse anche altri – hanno già un piede sul mercato di gennaio, con la società che, vista la situazione drammatica, apre a cessioni pur di alleggerire il monte ingaggi e fare cassa. La paura di retrocedere blocca le gambe: i viola creano occasioni, vanno in vantaggio, poi si sciolgono come neve al sole toscano. Manca leadership, manca cattiveria, manca quell’orgoglio che dovrebbe venire naturale quando indossi una maglia storica. Psicologi dello sport parlano di “crisi profonda”, di frustrazione che va trasformata in benzina, ma per ora sembra solo fumo.E la dirigenza? Qui entriamo nel terreno minato. Roberto Goretti, promosso ds dopo anni nell’ombra, e Alessandro Ferrari, dg di fiducia, lavorano giorno e notte, ma la piazza non li riconosce più come garanti del progetto. Il Centro Coordinamento Viola Club ha rotto pubblicamente con la proprietà: “Non ci riconosciamo più in questa gestione, le nostre strade si dividono”. Un comunicato durissimo, che evoca persino lo spettro dei Cosmos, quel fallimento del 2002 che ancora fa rabbrividire i tifosi. Rocco Commisso, dall’America, ha smentito voci di vendita (“Non mollo adesso”), ha ribadito fiducia totale nei suoi uomini, ma la sua assenza fisica pesa. Non ha mai incontrato di persona né Pioli né Vanoli. Parla di supporto costante, di famiglia unita, ma Firenze vuole fatti, non parole transoceaniche. Si vocifera di un rinforzo dirigenziale pesante – Sabatini, Giuntoli, Prandelli in ruolo diverso – per dare una sterzata all’area tecnica. Perché il mercato di gennaio sarà cruciale: servono innesti di esperienza, di grinta, di quelli che sanno sporcarsi le mani nella bagarre salvezza.I prossimi giorni saranno decisivi. Giovedì c’è Losanna: una vittoria in Conference servirebbe a tenere viva l’Europa, unica ancora di salvataggio per il morale e per eventuali introiti. Poi Udinese in casa: altro scontro diretto, altra partita da dentro o fuori. Se arrivassero punti, Vanoli guadagnerebbe ossigeno e la squadra un minimo di fiducia. Altrimenti, è facile prevedere un Natale caldo: esonero, nuovo tecnico, mercato anticipato, magari qualche cessione eccellente per finanziare rinforzi mirati. Le proiezioni dicono che per salvarsi serviranno 36-37 punti: ne mancano 30-31 in 23 giornate. Missione possibile, sulla carta, con una rosa che ha qualità individuale. Ma serve un miracolo collettivo: ritrovare compattezza, orgoglio, quell’identità viola che sembra svanita nel nulla.Firenze non merita questo spettacolo desolante. Ha sofferto fallimenti, rinascite, illusioni spezzate, ma ha sempre avuto una squadra che lottava con il coltello tra i denti. Oggi sembra un pugile stordito che barcolla sul ring. La domanda è una sola: chi troverà la forza di suonare la campana per il rilancio? Perché se non succede presto, il rischio è che il 2026, l’anno del centenario, possa essere ricordato come l’anno della retrocessione. E quello,  davvero, sarebbe un dramma che nessuno a Firenze vuole nemmeno immaginare.

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