La Viola che affonda: cronaca di un disastro annunciato tra Bergamo e i sogni infranti

La Fiorentina è ultima in Serie A con sei punti in tredici giornate, zero vittorie, e ieri ha perso 2-0 a Bergamo contro l’Atalanta. Fine della notizia. Inizio dell’autopsia.Partiamo dai numeri, perché i numeri non mentono mai, al massimo ridono in faccia a chi li guarda.Dopo 13 turni la Viola ha segnato 10 gol (meno di uno ogni 120 minuti) e ne ha subiti 21. Ha pareggiato sei volte, spesso con lo stesso copione: vantaggio altrui, gol viola che non arriva mai o troppo tardi, per non far arrabbiare troppo il padrone. Ha perso le restanti sette, alcune con dignità, altre – come ieri – con la solennità di chi sa di essere già morto ma continua a camminare per educazione.A Bergamo è andata in scena la perfetta sintesi della stagione: un primo tempo di resistenza stoica, un gol subito su un cross sbagliato che diventa un missile teleguidato, un secondo tempo di rincorsa disperata chiuso da Lookman che, ormai, quando vede la maglia viola attiva il pilota automatico e segna. 2-0, tutti a casa, Palladino sorride per la prima vittoria interna, Vanoli prende appunti su un block notes che a fine anno potrà intitolare «Manuale del masochismo applicato».Il tabellino è un trattato di crudeltà statistica: 47% possesso palla, 0.78 xG creati, 1.92 subiti, un palo di Kean (il solito, quello che colpisce legni con la precisione di un falegname svizzero) e un De Gea che para tutto il parabile tranne i due gol, perché evidentemente anche i portieri spagnoli hanno un tetto massimo di miracoli settimanali.Paolo Vanoli, alla quarta partita sulla panchina viola, è già al terzo modulo diverso. Contro l’Atalanta ha scelto il 3-5-2, che in teoria dovrebbe essere difensivo ma che ieri ha funzionato come un ombrello bucato durante un uragano. Risultato: Kossounou, difensore centrale ivoriano, ha segnato il suo primo gol in Serie A con un cross finito in porta. Un evento con la stessa probabilità di vedere Commisso fare una conferenza stampa sussurrando.Ma il vero capolavoro è stato il secondo gol: contropiede atalantino, tre tocchi, Lookman solo davanti a De Gea. Il nigeriano ha avuto il tempo di controllare, alzare la testa, scegliere l’angolo, mandare un vocal su WhatsApp alla mamma e poi depositare in rete. Difesa viola ferma come i turisti davanti al David: tutti a guardare, nessuno che intervenga.E qui arriva il punto dolente, quello che fa più male della classifica: la Fiorentina non è sfortunata, è semplicemente scarica. Scarica di idee, di gamba, di cattiveria. Kean corre ma sbatte contro i centrali come un piccione contro il vetro di un ufficio. Gudmundsson, pagato 25 milioni l’estate scorsa, sembra un turista islandese perso nel centro di Milano: guarda, si guarda intorno, ogni tanto tira ma sempre con la grazia di chi chiede indicazioni. Fagioli, il talento che doveva essere il faro,  si spegne subito, forse perché ha capito che illuminare questa squadra è come accendere una torcia dentro una palude.Intendiamoci: la rosa non è da retrocessione. Sulla carta. Ma la carta, si sa, la usano anche per incartare il pesce. De Gea, Pongracic, Mandragora, Parisi, Dodô, Kean, Dzeko: sono nomi che altrove fanno la differenza. Qui fanno la figura degli invitati a una festa dove la musica è finita da due ore che non parte e il buffet è finito.Il cambio di allenatore – Pioli out, Vanoli in – è stato il classico cerotto su una gamba amputata. Pioli ha lasciato con 4 punti in 11 giornate e la sensazione di aver esaurito ogni variante del suo 3-5-2. Vanoli è arrivato con la fama del pressing e del 3-4-2-1, ma dopo quattro partite il suo score è: 2 pareggi, 3 sconfitte, 1 gol segnato nelle ultimi  270 minuti di campionato. Se continua così, a Natale potrà pubblicare il calendario «Un ko al giorno».E poi c’è Rocco Commisso. Il presidente che nel 2019 promise la Champions entro tre anni e oggi, sei anni dopo, deve spiegare perché la sua squadra è appaiata al Verona e rischia di battere il record negativo di punti dopo 13 giornate dell’era dei tre punti a vittoria (il primato appartiene al Pescara 2016/17 con 4 punti; la Fiorentina è a 6, ma ha ancora margine di peggioramento). Rocco parla poco ultimamente. L’ultima volta ha detto che «la squadra deve reagire». Frasi da calendario di Frate Indovino, ma almeno non ha dato la colpa agli arbitri: progresso.Il mercato di gennaio si avvicina come una sentenza. Servirebbe un direttore sportivo vero – Pradè è stato accompagnato alla porta a novembre – e almeno tre innesti pesanti. Ma chi viene a Firenze sapendo che rischi di giocare in serie B ad Agosto? Al massimo arriveranno prestiti di seconda fascia e qualche svincolato con la valigia piena di buona volontà e di ginocchia rotte.I tifosi, quelli veri, ieri erano mille a Bergamo. Hanno applaudito Dzeko che prendeva il megafono e chiedeva «non mollate». Gesto nobile, quasi commovente, se non fosse che la squadra ha già mollata da un pezzo. Hanno cantato «Noi vogliamo undici leoni». Peccato che in campo ieri ci fossero undici gattini bagnati.Il calendario ora potrebbe essere un alleato: Sassuolo (obbligo vincere, ma chi ci crede più?), Verona e Udinese in casa (perdere significherebbe consegnare la Toscana al nemico), poi Parma e Cremonese nel giro di un mese. Se la Fiorentina arriva a quota 20  punti prima di febbraio sarà già un miracolo da sottoporre alla Congregazione delle Cause dei Santi.Conclusione: la Viola non è ancora retrocessa, ma è già in coma profondo. Il respiratore è acceso, il primario Vanoli fa la ronda, Commisso paga le bollette, i tifosi pregano. Il problema è che il paziente, ogni domenica, trova il modo di staccarsi la spina da solo.E mentre Bergamo festeggia, Firenze si sveglia con la solita domanda: ma quanto deve scendere ancora questa squadra prima di toccare il fondo? Tranquilli, c’è ancora margine. In Serie A il fondo ha sempre un seminterrato.

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