Fiorentina, il derby dell’Appennino e il pareggio che sa di miracolo laico: da 0-2 a 2-2, ma il baratro è sempre lì, dietro l’angolo.

C’era una volta una squadra che sognava di tingere l’Italia di viola, con un Franchi in delirio e un destino da grande. Poi, però, è iniziata la Serie A, e la Fiorentina si è trasformata in un tragicomico romanzo d’appendice, dove ogni capitolo sembra scritto da un autore con la penna intinta nel pessimismo cosmico. La Fiorentina, in un universo parallelo, dovrebbe essere il faro viola della Toscana, con il Franchi che riecheggia di inni e sogni scudettati, e invece, all’ottava giornata, si trova a inseguire punti come un turista smarrito cerca un Wi-Fi gratuito in una piazza affollata. Ieri sera, contro il Bologna nel tanto atteso derby dell’Appennino – che, diciamolo, ha avuto il sapore di una rimpatriata tra ex mariti litigiosi – i viola hanno rimontato da 0-2 a 2-2 con due rigori nel finale, uno di Gudmundsson e l’altro di Kean al 94′. Un pareggio sudato, rubato al destino con la freddezza di un notaio che firma un’eredità contesa. Ma, ironia della sorte calcistica, quel punto non è una vittoria: è solo un cerotto su una ferita che sanguina da settimane. E Stefano Pioli, con quel suo sguardo da filosofo zen in mezzo a un tifone, deve chiedersi se non sia il caso di accendere un cero alla Madonna del Sasso, o almeno di rivedere i replay con un caffè doppio. Partiamo dal principio.

La Fiorentina arriva a questa partita con un bottino da record negativo, del genere che ti fa sfogliare gli annali con un ghigno amaro. Sette giornate, zero vittorie. Sì, avete letto bene: zero. Per la seconda volta nella sua storia ultracentenaria, i gigliati non hanno assaporato il dolce sapore dei tre punti nelle prime sette uscite, un’eco del disastroso 1977/78, quando persero pure l’ottava e rischiarono di retrocedere con stile. E attenzione, non è solo una questione di sfortuna cosmica: in quest’era dei tre punti per vittoria, mai una Fiorentina aveva raccolto così poco – appena tre miseri punticini – dopo un avvio di torneo. È come se la squadra avesse deciso di interpretare il campionato alla maniera di un monaco buddhista: distaccata, serena, ma con zero karma positivo accumulato. Quattro punti totali dopo otto gare, penultimi in classifica con il Pisa che li guarda dal basso con un sorrisetto beffardo. E il Bologna? Quattordici punti, quarto posto sfiorato, un Orsolini che segna più lui da solo (cinque gol) che l’intera rosa viola. Il match inizia con un Franchi che freme, gonfio di aspettative represse. Pioli schiera un 3-5-2 con De Gea tra i pali – perché sì, anche il portiere spagnolo sembra aver ereditato la maledizione viola, parando tiri che sembrano palle da spiaggia – e un attacco che dovrebbe bucare la rete come un ago un tessuto logoro: Kean a fare il pivot, Mandragora a spingere dal basso, e un centrocampo che, ahimè, ricorda più un’orchestra sinfonica senza direttore che un motore da Formula 1. Il Bologna di Niccolini – l’ex vice di Italiano, che dal letto d’ospedale dirigeva le operazioni come un generale da divano – arriva con il piglio di chi ha vinto le ultime due di fila, 4-0 al Pisa e 2-0 a Cagliari, e un attacco atomico: Castro, Cambiaghi, Fabbian e Orsolini. Un quartetto che, parafrasando un vecchio adagio, segna più di quanto la Fiorentina riesca a difendere.

E infatti, il primo tempo è un monologo emiliano con accenti toscani. Al 25′, Castro – quel centravanti argentino che sembra aver studiato il manuale del “colpo da biliardo” – infila il primo gol con una perla che farebbe invidia a un gioielliere di via Tornabuoni: cross di Orsolini, deviazione felina, 0-1. La Fiorentina arranca, con Ranieri che sfiora il pari su corner ma Skorupski para come se custodisse i segreti di Stato. Il Bologna domina, sfiora il raddoppio con un gol annullato a Orsolini per fuorigioco al Var – un intervento che fa sudare sette camicie all’arbitro La Penna – e va negli spogliatoi avanti di un gol che sa di sentenza. Poca grinta viola, contropiedi anemici, un centrocampo negativo come un test del Covid: zero idee, zero verticalizzazioni, solo passaggi laterali che fanno venire il mal di mare. Pioli, in panchina, gesticola come un mimo intrappolato in una scatola invisibile, ma il suo 3-5-2 sembra un 3-7-0, con i centrocampisti a pascolare erba sintetica invece di attaccare.La ripresa? Un’altalena da fiera paesana, con il Bologna che accelera e la Fiorentina che inciampa. Al 52′, su cross di Holm, Cambiaghi – un’ala che corre come se inseguisse l’ultimo autobus per l’Emilia – infila il 0-2 con un tap-in che gela il Franchi. Sembra finita, ma i viola, forse ispirati da un improvviso colpo di vento toscano, spingono. Al 73′, un rigore – assegnato dopo un check Var per fallo in area – permette a Gudmundsson di accorciare: 1-2, con la freddezza di un islandese che affronta il gelo eterno. Espulsione di Holm per doppio giallo al 75′, e il Bologna in dieci: sembrava la svolta, no? I viola assediano, con statistiche che parlano chiaro – 19 tiri totali contro 6, 7 in porta contro 3, possesso palla quasi pari (50.4% Fiorentina) – ma il gol arriva solo al 94′, quando un altro rigore – stavolta per fallo su Kean, trasformato con maestria dall’inglese – fissa il 2-2. E al 98′, un’occasione colossale fallita dalla Fiorentina, con un tiro alto che punta alla luna invece che alla rete.

Finisce così: un punto guadagnato dal dischetto, ma un’amarezza che pesa come un macigno.Ora, il momento difficile. Perché questo pareggio non è catarsi, è solo un rinvio della crisi. La Fiorentina è una squadra che galleggia in un limbo calcistico, con un Pioli che, reduce dallo scudetto al Milan, sembra aver importato qui solo i rimpianti. Il suo modulo? Flessibile come un elastico usurato, con un centrocampo – pensate a Caviglia e Mandragora – che perde palloni come un colabrodo l’acqua. E la difesa? Pablo Marí, nelle pagelle post-partita, è un disastro ambulante: espulsioni evitate per un soffio, errori da matita rossa. Kean segna dal dischetto, ma nei 90 minuti corre meno di un turista al check-in. Gudmundsson è l’unico faro, con quel rigore islandese che illumina un po’ la notte, ma da solo non basta. E Orsolini? Cinque gol contro i cinque totali della Fiorentina: è come se il Bologna avesse rubato l’anima viola e l’avesse rivenduta al mercato nero. Immaginate la dirigenza viola, i Commisso e i Pradè, seduti intorno a un tavolo con una lavagna che dice “Soluzioni: 1) Pregare. 2) Cambiare allenatore. 3) Vendere lo stadio, se solo nin fosse un cantiere a cielo aperto”. Otto giornate, e la squadra più titolata della Toscana, è lì a lottare non per lo scudetto, ma per non retrocedere con stile. Ironico, vero? Contro un Bologna che, senza Italiano (polmonite, dicono, ma chissà se non è solo un modo per non assistere al declino dell’ex squadra), gioca da grande, con Niccolini che subentra e trasforma il derby in una passeggiata emiliana interrotta solo da due penalty che puzzano di Var misericordioso. Quattro interventi del video, e La Penna che arbitra come un cieco a un semaforo: rigori, espulsioni ritardate, un match che sembra un episodio di “Chi l’ha visto?” per i gol perduti.E i tifosi? Quei magnifici viola, fedeli come ulivi secolari, che al Franchi cantano “Un giorno all’improvviso” anche quando il punteggio è un incubo. Meritano di più di questo eterno purgatorio, di questa squadra che promette mari e monti in estate – “Kean spaccherà tutto!”, “Gudmundsson è il nuovo Batistuta!” – poi inciampa su ogni ciottolo. Pioli, con il suo curriculum da vincente, deve reinventarsi qui: forse un 3-5-2 più spregiudicato, o magari un ritiro in convento per ritrovare lo spirito battagliero. Perché questo 2-2 non è un punto di svolta, è un’illusione ottica: la classifica piange, con la zona retrocessione che allunga le mani come un creditore impaziente, e le prossime gare – contro Inter, Lecce e Genoa – sembrano trappole per topi.In fondo, il calcio è questo: un circo di emozioni, dove un rigore al 94′ può salvarti la domenica, ma non la stagione. La Fiorentina ha evitato il baratro, sì, ma ci ha danzato sopra per 88 minuti, con grazia precaria e un po’ di terrore negli occhi. Ora, tocca a Pioli e ai suoi riscrivere il copione: non con proclami da talk show, ma con vittorie vere, quelle che arrivano dal sudore e non dal fischio di un arbitro. Altrimenti, questo momento difficile rischia di diventare un’era, e i viola – squadra di poeti e gladiatori – meritano di meglio che recitare la parte delle comparse in un dramma altrui. Forza Firenze, che il viola non è solo un colore: è una promessa da mantenere ma con il cuore gonfio di quella passione che, alla fine, vince sempre.

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