Viola al crepuscolo: Pioli, Pradè e la Conference League

Firenze, quella Firenze che un tempo si specchiava nei fasti di Batistuta e Rui Costa, oggi si guarda allo specchio e vede un riflesso sbiadito, con i colori viola che sembrano più un’eco lontana che una bandiera orgogliosa. Domenica sera, al Meazza, la sconfitta per 2-1 contro il Milan non è stata solo la solita gara con un gol in meno degli avversari: è stata l’ennesima pugnalata a un cuore già martoriato, che ora batte all’ultimo posto, appaiata a Genoa e Pisa in una zona retrocessione che sa di déjà vu, ma senza il fascino romantico delle rimonte epiche. Sette giornate di Serie A, zero vittorie, tre pareggi e quattro sconfitte: numeri che non mentono, che pesano come macigni su Stefano Pioli, su Daniele Pradè e su una Fiorentina che, a vigilia della Conference League contro il Rapid Vienna, sembra più un club in bilico tra dramma e farsa che una squadra con ambizioni europee.Immaginate la scena: San Siro, tempio del calcio, che accoglie il ritorno di Pioli non come un eroe, ma come un profugo dal suo stesso passato glorioso. L’uomo che aveva vinto lo scudetto con i rossoneri, che aveva riportato il Milan in Champions dopo anni di esilio, si ripresenta da avversario e incassa una doppietta da Rafael Leão, quel fenomeno che lui stesso aveva coccolato e che ora lo ringrazia con un rigore al minuto 86, trasformato con la freddezza di chi sa di dover dimostrare qualcosa. Gosens aveva illuso tutti, con un gol che sembrava l’alba di una riscossa, ma poi Leão –  il jolly portoghese che dribbla come se la gravità fosse un optional – ha pareggiato  con un destro da fuori che ha beffato De Gea, e il resto è storia nota: un penalty contestatissimo, un contatto tra Parisi e Giménez che Pradè ha definito “grottesco e scandaloso”, e una sconfitta che catapulta i viola in fondo alla classifica. Il Milan vola primo, solitario, a 16 punti; la Fiorentina affonda a 3, con la differenza reti che grida vendetta: -5, come un bilancio aziendale in rosso cronico.

Stefano Pioli, il parmigiano taciturno che un tempo era il re di Firenze, è tornato sulla panchina viola l’estate scorsa con l’entusiasmo di un reduce che sogna il bis. Tre anni di contratto, un progetto triennale da tre milioni a stagione, e la fiducia incondizionata di Rocco Commisso, quel tycoon newyorkese che prometteva scintille dopo 92 milioni investiti sul mercato. Piccoli per 25 milioni dal Cagliari – “pochi”, giura Pradè –, Kean, Dzeko, Gudmundsson, Fazzini, Sohm, Fagioli: nomi che sulla carta luccicavano come promesse di Champagne, ma che in pratica si sono rivelati bollicine sgonfie. Un gol in sette partite per l’attacco, una mediana che perde palloni come un colabrodo, una difesa che concede spazi con la generosità di un anfitrione ubriaco. Pioli, dal canto suo, predica pazienza: “Siamo in crescita, il tempo darà ragione a questa squadra”. Crescita? Se è così, allora siamo ancora al livello delle elementari, con i compiti in classe che rimandano tutti a settembre.E poi c’è Daniele Pradè, il direttore sportivo che si è autoincoronato capro espiatorio con una generosità quasi commovente. “Se c’è un colpevole, sono io. Ho avuto 90 milioni, la contestazione dovrebbe essere solo su di me”, ha tuonato dopo il k.o. di Milano, difendendo Pioli con la ferocia di un avvocato in tribuna. Parole nobili, certo, ma che suonano come un’ammissione velata: il mercato estivo è stato un azzardo, un mazzo di carte distribuito male. La Curva Fiesole non gli ha perdonato nulla – cori, striscioni, petizioni online per le sue dimissioni già dopo la sconfitta con la Roma – e Commisso, dall’America, deve star rosicchiando i sigari cubani pensando a come trasformare questo disastro in un’opportunità. Perché sì, la Fiorentina ha due coppe da onorare: la Conference League, con il Rapid Vienna che puzza di trappola per sconsolati, e la Coppa Italia che incombe. Ma se il morale è a zero, come si fa a convincere i giocatori che l’Europa è un sogno, non un incubo? Perché, diciamocelo, esonerare Pioli dopo sole sette giornate sarebbe come cambiare il capitano di una nave che affonda scaricando il timoniere in mare: magari serve, ma chi garantisce che il nuovo non sia un pirata peggiore? Eppure, lo scenario è sul tavolo, e non è fantascienza. Immaginate Commisso, nel suo ufficio con vista su Manhattan, che sfoglia l’album delle figurine degli allenatori liberi: “Ok, Pioli out, chi metto al suo posto? Qualcuno che conosca il viola, ma non troppo da ricordarsi i fallimenti passati”. E qui entra in scena il circo delle alternative, un valzer di nomi che farebbe invidia a un reality show.Primo tra tutti, Daniele De Rossi: l’ex romanista con l’anima da gladiatore, fermo dopo la sua avventura giallorossa che lo aveva portato in semifinale di Europa League. Pradè lo adora da anni – “è il profilo che sogno”, ha confidato una volta – e De Rossi, con quel carisma da predestinato, potrebbe essere il messia che unisce la piazza. Ironia della sorte: lo vorrebbero anche al Torino, ma Firenze ha quel fascino rinascimentale che potrebbe tentarlo. Immaginate De Rossi in panchina al Franchi: “Ragazzi, giochiamo con il cuore, non con i 90 milioni spesi male”. Sarebbe un colpo di teatro, un ritorno alle origini passionali, ma attenzione: De Rossi è uno che non tollera mezze misure, e con questa rosa potrebbe durare quanto un’illusione estiva.Poi c’è Marco Rose, il tedesco pragmatico che ha fatto le fortune del Lipsia e che DAZN indica come opzione low-cost. Rose, con il suo 4-2-3-1 rigido come un orologio svizzero, potrebbe imporre disciplina a una squadra che ora gioca come se seguisse un copione improvvisato. Ma ecco l’ironia: un tedesco a Firenze? Sarebbe come mettere un ingegnere a dirigere un’opera lirica – preciso, sì, ma mancherà quel guizzo dantesco che i tifosi viola pretendono. E se non bastasse, spunta Thiago Motta, il filosofo del pallone, reduce da un Bologna che lo ha adorato e da una Juventus che prima lo ha sedotto e poi subito scaricato. Motta, con le sue geometrie infinite, potrebbe trasformare i viola in una scacchiera vivente, ma ha il vizio di sparire nei momenti clou: proprio quello che non serve ora, con la Conference che bussa alla porta.E non dimentichiamo le sorprese, quelle che Commisso ama come un bimbo con i fuochi d’artificio. Roberto Mancini, il Mancio nazionale, libero dopo l’Arabia Saudita: un nome da brividi, con quel palmares che riempirebbe un’enciclopedia. Sarebbe come chiamare un generale per una scaramuccia di quartiere – troppo grosso, e rischierebbe di annoiarsi con partite da 0-0 che puzzano di salvezza. Scherzi a parte – o quasi –, l’esonero di Pioli non è inevitabile, ma pende come una spada di Damocle. Pradè lo difende con le unghie e coi denti: “Solo lui ci può tirare fuori, il resto è colpa mia”. Belle parole, ma se contro il Rapid Vienna la Fiorentina inciampa di nuovo – e il Rapid, con quel suo calcio austriaco pragmatico, sa essere un osso duro per chi ha il morale sotto i tacchi –, allora sì che la ghigliottina calerà. E Pradè? Lui sì che rischia grosso. Le dimissioni volontarie, evitate con maestria dopo la Roma, ora sembrano un’opzione meno remota. Immaginate: Pradè che si presenta in conferenza, con quel ghigno sardo, e dice “Vado via io, salviamo Pioli”. Sarebbe eroico, quasi tragico, ma realistico in un club dove Commisso non tollera fallimenti a lungo termine. La Curva lo vuole fuori da mesi, i tifosi lo contestano come un vecchio conto in sospeso, e quei 92 milioni non hanno prodotto né punti né sorrisi. Se non si  dimette, l’esonero potrebbe arrivare in tandem con Pioli: un pacco regalo doppio per Commisso, che poi dovrebbe ricostruire da zero.Ma proviamo a delineare scenari alternativi. Scenario uno: la “Rinascita Lampo”. Pioli resta, Pradè si dimette per prendersi la colpa, e contro il Bologna arriva una vittoria sudata, tipo 2-1 con gol di Piccoli al 90′. La piazza esulta, Commisso twitta “We’re back!”, e la Fiorentina risale piano piano, finendo settima e centrando l’Europa minore. Ironia? Sarebbe troppo bello per essere vero, ma nel calcio, come in amore, a volte le crisi passano con un bacio rubato.Scenario due: il “Colpo di Teatro”. Esonero di Pioli, De Rossi in panchina. Pradè resta, ma con un ultimatum: “Un mercato di riparazione da fuoriclasse o via anche tu”. Contro il Bologna, De Rossi schiera un 3-5-2 aggressivo, Kean si sveglia e segna una doppietta. De Rossi che motiva Fagioli con discorsi su Totti? Roba da film, ma potrebbe funzionare, trasformando la Fiorentina in una squadra da battaglia, non da belle statuine.Scenario tre: il “Dramma Shakespeariano”. Entrambi fuori – Pioli esonerato, Pradè dimissionario – e Commisso chiama un esterno come Fabio Pecchia. Risultato? Caos iniziale, ma un rilancio epico: la Fiorentina vince la Conference e si qualifica in Europa League risorgendo come una fenice. Ironico? Assolutamente, ma nel calcio viola, le storie finiscono sempre così: tra lacrime, applausi e un “anno prossimo sarà diverso”.Infine, lo scenario più probabile: il “Compattone Americano”. Commisso richiama tutti a un pranzo di squadra – come ha fatto lunedì, con staff e giocatori a guardarsi negli occhi –, Pioli e Pradè restano, e si punta sulla “Compattezza”, come se fosse una parolaccia magica. Funzionerà? Chissà. Ma una cosa è certa: la Fiorentina non è mai banale. Anche nel buio, sa accendere una scintilla di ironia, quel ghigno amaro che dice “Siamo ultimi, ma almeno non siamo il Siena”.E mentre il Rapid Vienna attende, con i suoi 1.200 metri di altitudine che sembrano un Everest per i viola, Firenze trattiene il fiato. Perché in fondo, questo è il calcio: un’eterna altalena tra abissi e vertici, tra Pioli che sogna e Pradè che conta i rimpianti. Che vinca il migliore o il meno peggio.

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