Fiorentina, la Viola stende il Polissya con un 3-0: un capolavoro con un pizzico di follia shakespeariana

Presov, Slovacchia. La Futbal Tatran Arena, un rettangolo di erba sintetica che sembra progettato da un urbanista con la passione per i parcheggi di discount, si staglia sotto un cielo che minaccia tempesta e oblio. È qui, in questo angolo di mondo che Google Maps fatica a trovare, che la Fiorentina di Stefano Pioli ha deciso di trasformare un anonimo playoff di andata della Conference League in una lezione di calcio al malcapitato Polissya Zhytomyr. Un 3-0 che è un biglietto da visita per la fase a gironi, ma con quel retrogusto di follia che solo i viola sanno servire, grazie a un Moise Kean che passa da eroe a reprobo con la velocità di un tweet virale. La squadra ucraina, costretta a giocare in esilio come un diplomatico caduto in disgrazia, ha assistito impotente a una masterclass viola, interrotta solo da un cartellino rosso che sembra scritto da un drammaturgo con il debole per i colpi di scena. E così, mentre il Polissya si lecca le ferite e cerca di capire come si sia ritrovato a fare da comparsa in un film di cui non conosceva il copione, la Fiorentina si prepara al ritorno con la sicurezza di chi ha già mezzo piede nella gloria, ma con quel vizio congenito di complicarsi la vita che tiene i tifosi incollati alla partita come a un thriller di Hitchcock senza finale scontato.

Un primo tempo da manuale, con finale da sitcom

La Fiorentina si presenta con un 3-5-2 che è la quintessenza del Pioli-pensiero: ordine tattico, pressing asfissiante e quel tocco di estro che trasforma una partita in un dipinto rinascimentale. In porta David De Gea, che sembra aver firmato un patto con l’eterna giovinezza; in difesa Ranieri, Comuzzo e Pongracic, una retroguardia che dà più certezze di un contratto a tempo indeterminato; a centrocampo Fagioli e Sohm, che orchestrano il gioco con la precisione di due maestri di scacchi; sulle fasce Dodo e Gosens, che corrono come se fossero inseguiti da un plotone di creditori; davanti Moise Kean e Albert Gudmundsson, con Edin Dzeko in panchina a meditare sull’arte di essere letale anche a 39 anni. Il Polissya, con un 4-3-3 che sembra più un atto di fede che una strategia, schiera Volynets tra i pali, una difesa che pare assemblata con il Lego e un attacco che spera in un miracolo firmato Gutsulyak o Filippov.

La partita si accende al 7’ minuto, quando Moise Kean, l’uomo che vive tra l’Olimpo e il baratro, decide di lasciare il segno. Si accentra dalla sinistra, scocca un tiro che colpisce il palo e rimbalza sul portiere Volynets, che, con la grazia di un elefante in un negozio di cristalli, spedisce il pallone nella propria porta. 1-0, e il Polissya capisce che stasera non sarà una gita scolastica. La Viola domina con la serenità di un aristocratico che sorseggia tè in un salotto, mentre Fagioli distribuisce palloni come se stesse scrivendo una sinfonia. Al 23’, gli ucraini provano a ricordarci che esistono: Filippov stacca di testa su un cross di Andryievskiy, ma De Gea, con la calma di chi ha parato missili a Old Trafford, devia in angolo. È l’unico momento in cui il Polissya sembra credere nel proprio copione.

Poi, al 32’, la Fiorentina alza il sipario sul secondo gol. Kean crossa dalla destra, Gudmundsson sfiora il pallone, ma è Robin Gosens a prendersi la scena: controllo da manuale, tiro sotto la traversa e 2-0. Il tedesco, con quel gol, sembra voler dire: “Cari amici ucraini, questo è il calcio europeo, prendete appunti”. La difesa del Polissya, nel frattempo, osserva la scena come un gruppo di turisti che hanno sbagliato guida e si ritrovano al museo degli errori. Ma il vero colpo di genio (o di follia) arriva al 44’. Moise Kean, non contento di aver aperto le danze, decide di trasformare la serata in una tragicommedia. Dopo un battibecco con Sarapii, che gli tira i capelli come in una parodia di “Uomini e Donne”, si lascia andare a un fallo di reazione che l’arbitro azero Aliyar Aghayev punisce con un cartellino rosso. Espulso, sul 2-0, a un passo dall’intervallo. È la Fiorentina: un minuto sei Leonardo da Vinci, quello dopo sei un attore di cinepanettoni che improvvisa. I tifosi viola, da casa, si dividono tra un “genio!” e un “ma perché, Moise, perché?”.

Secondo tempo: la Viola in dieci, ma con l’arroganza dei campioni

Nella ripresa, con un uomo in meno, la Fiorentina si compatta come una falange macedone, mentre Pioli, dalla panchina, sembra un generale che dirige la battaglia con un sigaro immaginario in bocca. Il Polissya ci prova, ma i suoi attacchi sono come poesie scritte da un algoritmo: pieni di buone intenzioni, ma senza anima. Gutsulyak e Nazarenko sbattono contro il muro viola, mentre De Gea passa più tempo a contemplare il paesaggio slovacco che a parare. Al 69’, la Viola chiude i conti con un gol che è un inno alla bellezza. Albert Gudmundsson, l’islandese che sembra uscito da una saga nordica, riceve da Fagioli, salta un difensore con la leggerezza di un ballerino e insacca il 3-0 con un tiro che è pura poesia. Il Polissya, a questo punto, sembra un pugile suonato che aspetta solo il gong. Il finale scorre senza sussulti, con la Fiorentina che gestisce il vantaggio come un contabile che chiude il bilancio e il Polissya che prega per un miracolo che non arriva. Fischio finale: 3-0, e la Viola può già prenotare il catering per la fase a gironi.

Il commento: una Viola che incanta, ma con quel vizio di flirtare col disastro

Che dire di questa Fiorentina? È la squadra che ti fa innamorare con la sua classe e ti manda in analisi con le sue follie. Il 3-0 al Polissya è un manifesto di superiorità, ma con quel retrogusto di caos che è il marchio di fabbrica viola. Pioli ha costruito una squadra che sa essere solida come una banca svizzera e spettacolare come un quadro di Botticelli, ma poi c’è Kean, l’eroe tragico che passa da salvatore a sabotatore in un battito di ciglia. Gosens è un trattore con il motore di una Ferrari, Gudmundsson un poeta che dipinge con il pallone, Fagioli un direttore d’orchestra che non sbaglia una nota. Ma il rosso di Kean è un promemoria: questa Fiorentina non sa vivere senza un po’ di dramma.

Il Polissya, va detto, non è il Bayern Monaco. È una squadra che ha cuore, ma poca qualità, e stasera è stata surclassata da una Viola che, anche in dieci, sembrava giocare con la sicurezza di chi ha già prenotato il trofeo. Eppure, guai a dare la qualificazione per scontata. La storia della Fiorentina è un’enciclopedia di rimonte subite e sogni spezzati, e il ritorno a Reggio Emilia (perché il Franchi, ovviamente, è in modalità “cantiere eterno”) non sarà una passeggiata sembra. Il Polissya, ferito nell’orgoglio, potrebbe provare a rendere la vita difficile, e una Viola senza Kean dovrà evitare di trasformarsi in un episodio di “Black Mirror”.

Verso il ritorno: un piede nella gloria, ma con un occhio al passato

Al Mapei Stadium, la Fiorentina avrà l’occasione di sigillare la qualificazione. Un 3-0 in trasferta, in un campo che sembra più un parcheggio di periferia che uno stadio, è un vantaggio che solo un harakiri epico potrebbe dilapidare. Ma questa è la Fiorentina, e i tifosi lo sanno: ogni partita è un viaggio nell’ignoto, ogni gol un’epifania, ogni espulsione un memento mori. Per ora, godiamoci questo 3-0, che è un inno al calcio e alla sua gloriosa assurdità.

Lascia un commento

search previous next tag category expand menu location phone mail time cart zoom edit close