La seconda amichevole della Fiorentina in terra d’Albione, contro il Nottingham Forest dell’ex Nikola Milenković, si è conclusa con un glorioso 0-0, un risultato che brilla per emozione quanto un modulo delle tasse compilato a mano. Altro che fuochi d’artificio da far invidia alla finale di Champions: questo pareggio è stato un’ode alla monotonia, un inno alla prudenza che farebbe sbadigliare persino un caffeinomane in crisi d’astinenza. La squadra di Stefano Pioli, il nostro maestro d’orchestra che sembra ancora indeciso se dirigere una sinfonia di Beethoven o un jingle da spot pubblicitario, ha offerto una prestazione così soporifera da meritare un posto d’onore nel manuale del calcio anestetico. Eppure, in questo deserto di emozioni, tra sbadigli e rimpianti per i tempi in cui Firenze sognava l’Europa che conta, qualche lucciola ha provato a illuminare la scena, mentre altri si sono distinti per un’abilità fuori dal comune: far rimpiangere anche il più nostalgico dei tifosi viola.
Top: De Gea, Comuzzo e Dodò, gli ultimi baluardi di una Viola in modalità stand-by
Partiamo dai “top”, quei cavalieri senza macchia e senza paura che hanno impedito al City Ground di trasformarsi in un’arena da corrida con la Fiorentina nei panni del toro infilzato. David De Gea, il portiere con l’aura di un supereroe Marvel che ha deciso di appendere il mantello al chiodo ma poi ci ha ripensato, è stato il vero protagonista di questa serata. Con una parata su un tiro di Ndoye ha dimostrato una prontezza che sembrava urlare al mondo: “Voi giocate pure, tanto ci penso io a salvare la baracca!”. Un riflesso felino, un balzo che neanche un gatto randagio inseguito da un aspirapolvere, e un messaggio chiaro: “Signori, io sono qui per parare, non per fare il poeta in mezzo al campo”. Se la Fiorentina non è tornata a casa con un gol subito, il merito è tutto suo. E poi c’è Comuzzo, il giovane difensore con la faccia da primo della classe e la grinta di chi si presenta a un duello con una penna stilografica e un’agenda piena di buoni propositi. Ha tenuto a bada gli attaccanti del Forest come un buttafuori davanti a una discoteca esclusiva di Ibiza: “Fermi lì, non si passa!”. Elegante, deciso, con quella sicurezza che ti fa pensare che, se fosse nato a Firenze ai tempi di Lorenzo il Magnifico, sarebbe stato il suo bodyguard personale. E Dodò? Oh, il brasiliano ha corso, dribblato, servito palloni a Kean (spoiler: un disastro, ma ci arriviamo), e ha persino scheggiato la traversa con un pallonetto che avrebbe meritato un Oscar per l’intenzione, se non fosse che il calcio premia i gol e non i sogni. Peccato, caro Dodò, il prossimo legno prenotatelo per il falegname, che magari ci costruisce qualcosa di utile, tipo una panchina per chi non segna.
Flop: Kean, Ndour e una difesa che balla il tango senza ritmo
E ora, passiamo ai “flop”, quei personaggi che, in questa serata di calcio estivo, hanno fatto venire voglia di spegnere la TV e mettersi a guardare un documentario sugli scoiattoli. Moise Kean, l’attaccante che da un anno a questa parte è diventato la stella polare della Viola, il faro che illumina la via verso la gloria, ha trasformato un’occasione d’oro davanti a Sels in un assist perfetto… per il portiere avversario. Complimenti, Moise, continua così e ti candideranno come testimonial delle “occasioni mancate”, con tanto di spot pubblicitario mentre sorridi alla telecamera. È come se gli avessero detto: “Moise, vai e segna!” e lui avesse risposto: “Tranquilli, ci penso io… a far rimpiangere Jovic”. Poi c’è Ndour, che ha provato a illuminare la scena con un tiro da corner che sembrava un lampo in una notte senza stelle, ma per il resto della partita è stato più evanescente di un influencer dopo uno scandalo su TikTok. Dove eri, Ndour? A meditare o a cercare il tuo talento smarrito in qualche angolo del City Ground? E poi, dulcis in fundo, la difesa viola. Nel secondo tempo, con i cambi di Pioli, la retroguardia ha ballato un tango scoordinato degno di una sagra paesana, con Awoniyi che si è trovato solo davanti alla porta come un turista smarrito in Piazza della Signoria. Per fortuna, non ha segnato, ma solo perché era un’amichevole e gli dèi del calcio hanno deciso di concederci un po’ di clemenza. In Serie A, purtroppo, certi svarioni si pagano con gli interessi, e il conto potrebbe essere salato come una cena stellata a Firenze.
Pioli, l’architetto che costruisce castelli di carta
E poi c’è lui, Stefano Pioli, il nostro condottiero, l’uomo che dovrebbe guidare la Viola verso la terra promessa ma che, per ora, sembra più un geometra alle prese con un progetto urbanistico senza permesso di costruzione. La sua Fiorentina è un puzzle che sta ancora cercando di risolvere, ma con la calma di chi sta componendo un mosaico con i pezzi di due scatole diverse. Tatticamente, la squadra sembra un esperimento di chimica andato male: mescoli un po’ di talento, un pizzico di grinta, una dose di confusione, e il risultato è un brodino tiepido che non scalda né i cuori né le ambizioni dei tifosi. Caro Stefano, lo sappiamo che hai vinto uno scudetto con il Milan, ma qui non siamo a San Siro, e la pazienza dei fiorentini è più fragile di un bicchiere di cristallo in mano a un elefante. La sensazione è che la squadra non sappia ancora cosa vuole essere: una corazzata pronta a conquistare l’Europa o una barchetta che galleggia a stento? Contro il Nottingham Forest, la Viola ha mostrato sprazzi di qualità (grazie, De Gea) e momenti di puro caos (grazie, difesa). Ma se il piano è quello di stancare gli avversari con una noia mortale, beh, missione compiuta: il Forest sembrava pronto a firmare un armistizio pur di non giocare altri 90 minuti.
Parliamo chiaro: le amichevoli estive sono come le cene di famiglia a Ferragosto: tutti fanno finta di divertirsi, ma in realtà sognano di essere altrove. Eppure, anche in questo contesto di calcio balneare, la Fiorentina avrebbe potuto fare di più. Il Nottingham Forest, con tutto il rispetto per l’ex Milenković, non è esattamente il Real Madrid. Era un’occasione per testare schemi, provare idee, dare un segnale ai tifosi che, dopo anni di sogni infranti e promesse non mantenute, hanno ancora il cuore viola ma anche un po’ di gastrite. Invece, la squadra ha offerto una prestazione che sembrava un’ode alla mediocrità, un inno alla tranquillità di chi sa che, tanto, è solo un’amichevole. Ma attenzione, perché il calendario non aspetta: sabato arriva il Manchester United, e lì servirà qualcosa in più di un riflesso di De Gea e un palo di Dodò per non tornare a Firenze con l’autostima sotto le suole delle scarpe. I Red Devils non sono il Forest, e se la Viola giocherà con la stessa verve di un bradipo in letargo, rischiamo di vedere Old Trafford trasformarsi in un’arena di gladiatori, con i nostri giocatori nei panni dei cristiani dati in pasto ai leoni.
In conclusione, questa Fiorentina è come un libro di cui conosciamo la copertina ma non ancora la trama. Pioli ha tra le mani una squadra con del potenziale – De Gea è una certezza, Comuzzo una promessa, Dodò un motorino con il freno a mano tirato – ma anche con lacune che fanno venire i brividi. Kean deve ricordarsi che è un attaccante, non un filantropo che regala occasioni agli avversari. Ndour deve smettere di giocare a nascondino con il pallone. E la difesa, beh, deve capire che il calcio non è un ballo di gruppo dove ognuno fa quello che vuole. Il pareggio contro il Nottingham Forest è stato un brodino tiepido, utile per scaldare le gambe ma non certo i cuori dei tifosi, che meritano di sognare qualcosa di più di un ottavo posto e un’uscita precoce dalla Coppa Italia. La stagione è alle porte, e la Fiorentina non può permettersi di presentarsi in Serie A con l’entusiasmo di chi va a fare la fila all’ufficio postale. Sabato, contro il Manchester United, servirà una scossa, un lampo, un segnale che questa squadra ha ancora voglia di stupire. Forza Viola, ma svegliamoci, perché il calcio non è un corso di yoga: qui si corre, si lotta e, possibilmente, si segna. Altrimenti, prepariamoci a un’altra stagione di “vorrei ma non posso”, e i tifosi, si sa, non sono famosi per la loro pazienza.
