La Fiorentina ha deciso di giocare la carta nostalgia, annunciando Stefano Pioli come nuovo allenatore. Un ritorno che sa di minestra riscaldata, ma con un pizzico di spezie nuove, perché Pioli non è più solo il tecnico che allenava i viola tra il 2017 e il 2019: è l’uomo che ha scritto pagine di gloria (e qualche inciampo) in una carriera che sembra un romanzo di Dickens, con momenti di trionfo e altri di puro melodramma.
Dalle retrovie al campo: il Pioli calciatore
Nato a Parma nel 1965, Stefano Pioli non era esattamente il prototipo del calciatore che fa sognare le folle. Difensore centrale, stopper di quelli che sembrano scolpiti nel granito ma con la fragilità di un vaso Ming. Con la Juventus, tra il 1984 e il 1987, ha messo in bacheca trofei che oggi farebbero invidia a un museo: Serie A, Coppa dei Campioni, Supercoppa UEFA, Coppa Intercontinentale. Peccato che il suo corpo avesse altre idee: quattro fratture al metatarso (una con tanto di trapianto osseo, roba da far rabbrividire un ortopedico), una spalla che sembrava un puzzle malriuscito, legamenti in sciopero permanente. Insomma, il destino gli ha detto: “Stefano, il campo non è per te, prova con la panchina”. E lui, con la tenacia di un mulo emiliano, ha ascoltato.
Dopo una parentesi alla Fiorentina, dove nel 1994 ha conquistato una Serie B e segnato un gol in Serie A (uno solo, contro la Cremonese, ma che gol, signori!), Pioli ha detto addio agli scarpini. Ma il calcio, si sa, è come una ex che non ti molla mai: Pioli torna come allenatore, pronto a lasciare il suo segno. O almeno, a provarci.
Gli esordi: il tecnico “di passaggio
La carriera da allenatore di Pioli inizia come una commedia all’italiana: tanto cuore, qualche disastro e un finale che lascia sempre un po’ di amaro in bocca. Parte dalle giovanili del Bologna, dove vince un Campionato Allievi Nazionali nel 1999, e poi al Chievo, sempre con i giovani. Nel 2003, la prima vera chance: la Salernitana in Serie B. Ripescata per il Caso Catania, la squadra granata è un disastro annunciato, ma Pioli, con la calma di un pescatore che aspetta la trota, la porta alla salvezza. Non proprio un miracolo, ma quasi.
Poi il Modena: quinto posto in Serie B, playoff sfiorati, un esonero, un ritorno e una semifinale playoff. Pioli è già il re del “ci siamo quasi”. Nel 2006, il Parma lo chiama per la Serie A. È il ritorno a casa, ma non proprio con i fuochi d’artificio: esordisce con un pareggio contro il Torino, vince in Coppa UEFA contro il Rubin Kazan, ma in campionato il Parma è un disastro. A febbraio 2007, Claudio Ranieri gli dà il cambio, e Pioli saluta con la dignità di chi sa che il calcio è una giostra crudele.
Grosseto, Piacenza, Sassuolo: il giro d’Italia
Pioli non si arrende. Passa al Grosseto in Serie B, dove eredita una squadra in caduta libera e la porta alla salvezza con la grinta di chi deve dimostrare qualcosa. Poi Piacenza, altra salvezza tranquilla, e Sassuolo, dove nel 2009-2010 sfiora la Serie A con un quarto posto e una semifinale playoff persa contro il Torino. È il Pioli 1.0: affidabile, solido, ma sempre un passo indietro rispetto al grande colpo. Un po’ come un cuoco che fa un’ottima carbonara, ma non riesce mai a vincere MasterChef.
Chievo, Bologna, Lazio: l’ascesa (con qualche scivolone)
Nel 2010, il Chievo gli dà una chance in Serie A. Pioli non delude: undicesimo posto, quarta miglior difesa del campionato, e un gioco che non farà strappare i capelli per l’emozione, ma funziona. Passa al Bologna, dove le cose si complicano: una salvezza, un esonero, e un curriculum che inizia a sembrare una collezione di “poteva andare meglio”. Ma è con la Lazio, nel 2014, che Pioli tira fuori il coniglio dal cilindro. Terzo posto in Serie A, finale di Coppa Italia (persa, ovviamente), Supercoppa Italiana (persa, ça va sans dire). Il suo 4-3-3 è un piacere per gli occhi, il calcio è moderno, e Pioli sembra pronto per il grande salto. Ma il calcio, come un gatto dispettoso, gli tira la coda: la stagione successiva la Lazio crolla, e Pioli viene esonerato. Classico.
Inter e Fiorentina: il tatuaggio e l’addio
Nel 2016, l’Inter chiama. Pioli arriva a novembre, prende una squadra che sembra un puzzle senza istruzioni e la porta a un passo dalla zona Champions. Ma, come da tradizione nerazzurra, a maggio 2017 viene esonerato. Perché? Perché è l’Inter, e l’Inter ama il caos. Nel 2017, però, arriva il primo capitolo fiorentino. Pioli approda alla Fiorentina, e qui vive uno dei momenti più intensi della sua carriera: la morte di Davide Astori, capitano viola, nel 2018. Pioli si fa tatuare il nome di Astori, un gesto che lo rende più umano di molti suoi colleghi. Sul campo, però, le cose non decollano: ottavo posto nel 2017-18, semifinale di Coppa Italia nel 2018-19, ma dissidi con la società e una sconfitta col Frosinone lo spingono alle dimissioni. Firenze lo saluta con affetto, ma anche con un “potevi fare di più”.
Milan: il miracolo di San Siro
Ottobre 2019: il Milan è un disastro. Marco Giampaolo affonda, e Pioli arriva come “soluzione tampone”. I tifosi rossoneri, con il loro proverbiale ottimismo, lo accolgono con un misto di scetticismo e disperazione. “Pioli? Ma chi, quello della Lazio?”. E invece, signore e signori, ecco il capolavoro. Con un 4-2-3-1 solido e l’arrivo di Zlatan Ibrahimovic e Simon Kjaer, Pioli trasforma il Milan in una squadra vera. Nel 2020, Europa League. Nel 2021, secondo posto e ritorno in Champions. Nel 2022, lo Scudetto, il primo del Milan dopo 11 anni. San Siro canta “Pioli is on fire”, lui vince la Panchina d’Oro, e per un momento sembra il Re Mida del calcio. Nel 2022-23, porta il Milan in semifinale di Champions, un risultato che sa di epica. Ma, come sempre, c’è il “quasi”: il 2023-24 è un flop in Europa, e Pioli saluta i rossoneri, lasciando un’eredità di amore e qualche rimpianto.
Al-Nassr: l’avventura esotica
Dopo il Milan, Pioli vola in Arabia Saudita, all’Al-Nassr, per allenare Cristiano Ronaldo e un cast di stelle a contratto milionario. Un’esperienza che sembra più un soggiorno in un resort di lusso che una missione calcistica. Risultati? Discreti. Emozioni? Poche. A giugno 2025, l’Al-Nassr lo saluta, e Pioli torna libero. Libero di rispondere alla chiamata di Firenze.
Fiorentina 2.0: il ritorno del figliol prodigo
Ed eccoci al presente. Stefano Pioli è il nuovo allenatore della Fiorentina, annunciato ieri con un contratto fino al 2028. Staff rinnovato, con il figlio Gianmarco come video analyst, e una missione: riportare i viola in alto dopo stagioni di alti e bassi. Ma cosa aspettarsi? Pioli è il tecnico della stabilità, dell’ordine, del “facciamo le cose per bene”. Il suo 4-2-3-1, con varianti verso il 3-5-2, è un inno alla modernità: pressing alto, recupero palla veloce, difesa aggressiva. Tutto il contrario del caos visto a Firenze nell’ultima stagione.
Pioli alla Fiorentina è come richiamare il tuo vecchio idraulico di fiducia: sai che risolverà il problema, ma non ti aspetti che trasformi il bagno in una spa. La piazza viola, affamata di trofei e stanca di mezzi successi, lo guarda con un misto di speranza e sospetto. Pioli è l’uomo delle salvezze, dei “quasi”, delle squadre trasformate ma mai davvero trionfanti. Riuscirà a prendere talenti come Fazzini o Gudmundsonn e farne una squadra da Champions? O ci ritroveremo a metà classifica, a sognare l’Europa mentre guardiamo la Conference League su uno streaming ballerino?
Pioli, l’eterno “quasi”
Stefano Pioli è un paradosso: un tecnico che ha vinto uno Scudetto, ma che porta con sé l’etichetta del “traghettatore”. Ha trasformato il Milan, ha emozionato Firenze, ma ha anche collezionato esoneri e addii. A Firenze torna con un bagaglio di esperienza, un tatuaggio che parla di cuore e un’idea di calcio moderna. Ma la domanda resta: sarà il Pioli del Milan 2022, quello che fa cantare le curve, o quello del Parma 2007, che saluta in silenzio? I viola sognano, Pioli lavora, e noi, con un sorrisetto, aspettiamo di vedere se il Mastro Geppetto del calcio riuscirà a trasformare una squadra di legno in un vero ragazzo. In bocca al lupo, Stefano.
