Siamo al capolinea. Il Mondiale per Club, questo mastodontico esperimento FIFA che sembra un incrocio tra un torneo di calcetto aziendale e una kermesse da jet set, si concluderà al MetLife Stadium di East Rutherford, New Jersey, con una finale che profuma di déjà-vu: Chelsea contro Paris Saint-Germain. Due squadre europee che si guardano in cagnesco, pronte a contendersi un trofeo che vale più in contanti che in gloria, mentre il pubblico americano, probabilmente confuso tra un calcio d’angolo e un touchdown, sgranocchia nachos chiedendosi chi sia questo Dembélé di cui tutti parlano.
La FIFA, con la sua proverbiale umiltà da imperatore galattico, ha deciso di trasformare il vecchio Mundialito in un kolossal da 32 squadre, sparpagliate per gli Stati Uniti come turisti smarriti a Times Square. Un mese di partite, polemiche e gol, e alla fine eccoci qui: Chelsea e PSG, perché, diciamolo, il calcio mondiale è un affare europeo, e le squadre sudamericane, africane o asiatiche sono solo comparse invitate per fare numero. Fluminense, l’ultima speranza del Sudamerica, è stata rimandata a casa dal Chelsea con un secco 2-0, mentre il PSG ha fatto a pezzi il Real Madrid con un 4-0 che sembrava più una lezione di Zumba che una partita di calcio. E ora, sotto i riflettori di uno stadio da football americano, queste due corazzate si giocano il titolo.
Chelsea: i Blues, ovvero l’arte di sopravvivere con stile
I londinesi, guidati da Enzo Maresca – uno che sembra uscito da un corso di aggiornamento per contabili prestati al calcio – si presentano in finale con la grazia di chi ha passato il torneo a schivare proiettili come Neo in Matrix. Hanno arrancato nei gironi, inciampando contro Flamengo (perché anche i grandi cadono, specie se il campo è umido), ma nei knockout hanno tirato fuori un pragmatismo che farebbe invidia a un ragioniere alle prese con il bilancio di fine anno. Contro la Fluminense, in semifinale, João Pedro ha deciso che era il momento di farsi notare, infilando due gol che hanno mandato i brasiliani a cercare consolazione nel churrasco.
Il Chelsea di oggi non è più la macchina da guerra di un tempo. È piuttosto come quel tuo vecchio smartphone: non fa foto da copertina, ma risponde ancora alle chiamate. I Blues potranno contare su una difesa solida e un Cole Palmer che, quando è in giornata, sembra poter dribblare anche il proprio ego. Il problema? Moisés Caicedo, alle prese con un infortunio alla caviglia che potrebbe tenerlo fuori. Se non gioca, Maresca dovrà inventarsi qualcosa, magari rispolverando un 4-4-2 che sa di naftalina ma potrebbe funzionare. Perché il Chelsea, diciamolo, è specialista nel vincere quando nessuno se lo aspetta, come quel parente che ti batte a carte a Natale dopo averti fatto credere di non sapere giocare.
PSG: i parigini, ovvero il trionfo della grandeur (e dei petrodollari)
Dall’altra parte, il Paris Saint-Germain si presenta come il cattivo di un film di James Bond: elegante, spietato e con un conto in banca che farebbe arrossire persino Elon Musk. Luis Enrique, con quel suo fare da guru zen che nasconde un calcolatore spietato, ha trasformato il PSG in una macchina da gol. La semifinale contro il Real Madrid? Un 4-0 che sembrava un’esecuzione, con Fabián Ruiz che si è improvvisato Pelé, Ousmane Dembélé che ha fatto dimenticare a tutti i suoi giorni bui a Barcellona e Goncalo Ramos che ha chiuso i conti con la freddezza di un cecchino. Il povero Courtois, portiere del Real, sta ancora cercando la sua dignità in fondo alla rete.
Il PSG arriva a questa finale con un palmarès da far paura: Champions League, Ligue 1, Coppa di Francia. Manca solo il Mondiale per Club per completare la collezione, come se fossero a caccia dell’ultimo Pokémon raro. Con Désiré Doué e Khvicha Kvaratskhelia pronti a fare a fettine qualsiasi difesa, i parigini sembrano imbattibili. Ma c’è un ma: Willian Pacho e Lucas Hernandez, squalificati dopo il caos contro il Bayern Monaco, lasciano la difesa nelle mani di Marquinhos e di un Donnarumma che, si spera, non decida di fare il turista proprio domenica.
La finale: uno scontro tra due mondi (e due conti correnti)
La partita, in programma alle 21:00 italiane (quando in New Jersey staranno ancora digerendo il pranzo), è un confronto tra due filosofie opposte. Da una parte, il Chelsea, con il suo calcio operaio, fatto di sudore, tackle e qualche lampo di genio di Palmer. Dall’altra, il PSG, con un 4-3-3 che sembra disegnato da un coreografo, dove ogni passaggio è un’opera d’arte e ogni gol un’esplosione di vanità. I precedenti? Un pareggio storico: tre vittorie per il PSG, due per il Chelsea, quattro pareggi. Tradotto: non ci capisce niente nessuno, e probabilmente finirà ai rigori, con i tifosi che si strapperanno i capelli e i commentatori che tireranno fuori frasi fatte tipo “il calcio è così”.
Il Chelsea punterà su una formazione pragmatica, con Sánchez tra i pali, Chalobah e Adarabioyo a fare da diga e Palmer a inventare. Il PSG risponderà con Donnarumma, Marquinhos e un attacco che potrebbe segnare anche con le mani legate. Se il Chelsea vuole vincere, dovrà chiudersi come una cassaforte svizzera e sperare in un errore dei parigini, perché affrontare questo PSG a viso aperto è come sfidare un drago con un coltellino da burro.
Il contesto: il calcio in salsa americana
E poi c’è il contesto, perché non si può parlare di questa finale senza notare l’assurdità di giocarla in uno stadio pensato per il football americano, dove i tifosi locali probabilmente penseranno che un fuorigioco sia una pausa pubblicitaria. La FIFA, con la sua ossessione per il mercato globale, ha deciso che il MetLife Stadium è il posto giusto per consacrare il re del calcio mondiale. E magari, tra un gol e l’altro, ci scapperà un halftime show con tanto di droni e un cameo di qualche popstar in cerca di rilancio. Perché, in fondo, questo Mondiale per Club è anche un’operazione di marketing: portare il calcio dove il calcio non è re, sperando che qualche americano si converta al tifo per il PSG invece di guardare il Super Bowl.
Il premio? Una cascata di dollari: 40 milioni per il vincitore, più i guadagni accumulati nel torneo, che per entrambe le squadre superano i 100 milioni. Non proprio le noccioline che ti danno al bar sotto casa. Ma il vero trofeo è il prestigio, il diritto di guardare tutti dall’alto in basso e dire: “Siamo i migliori”. Anche se, in fondo, lo sappiamo tutti che il calcio è solo un gioco. O no?
E ora, il momento della verità: chi vince? Il PSG parte con i favori del pronostico, perché ha un attacco che sembra uscito da un film di fantascienza e un allenatore che sa come gestire le pressioni. Ma il Chelsea, con la sua testardaggine tutta inglese, potrebbe rovinare la festa, come quell’ospite che arriva alla tua cena elegante con le scarpe da ginnastica.
E mentre noi ci godiamo lo spettacolo su Canale 5 o DAZN, la FIFA starà già pensando al prossimo torneo, magari su Marte, tanto per alzare l’asticella. Perché il calcio non dorme mai, ma i suoi padroni, quelli sì, sognano in grande. E in dollari.
