Ci sono momenti nella vita in cui uno si guarda allo specchio e si chiede: “Ma davvero sto facendo questo?”. Per Simone Inzaghi, quel momento deve essere arrivato mentre firmava un contratto da 26 milioni di euro netti a stagione con l’Al Hilal, la squadra che qualcuno, con un pizzico di generosità, chiama il “Real Madrid dell’Arabia Saudita”. Perché, passare dalla panchina dell’Inter, con due finali di Champions League e un tricolore in bacheca, al sole cocente di Riyad non è esattamente il percorso che ti disegnano all’asilo quando ti chiedono “cosa vuoi fare da grande?”. Eppure, Simone, con il suo sorrisetto sornione e quella calma da guru zen, è lì a guidare l’Al Hilal in un Mondiale per Club che sta facendo parlare più di un temporale a Orlando.
L’Addio all’Inter: un Dramma in Tre Atti
Dopo quattro anni all’Inter, dove ha trasformato una squadra di scarti e prestiti in una macchina da guerra capace di vincere lo Scudetto e giocarsi due finali di Champions, Simone si è trovato di fronte a una scelta. Da una parte, il fascino della Milano nerazzurra, la pressione di San Siro, il profumo di caffè in Duomo. Dall’altra, un assegno con più zeri di un film di Michael Bay e la promessa di un progetto “ambizioso”.
Ora, non fraintendetemi: nessuno qui sta giudicando. Se qualcuno mi offrisse 50 milioni di dollari per due anni per allenare una squadra in un paese dove il calcio è più un hobby costoso che una religione, probabilmente anch’io farei le valigie in mezz’ora, con buona pace del romanticismo. Ma la tempistica, oh, quella è da applausi. Secondo Esteve Calzada, CEO dell’Al Hilal, l’accordo con Inzaghi era già stato deciso prima della finale di Champions League contro il PSG, quella disfatta per 5-0 che ha fatto sembrare l’Inter un gruppo di turisti persi al Colosseo. Simone, con la sportività di un gentleman d’altri tempi, avrebbe chiesto di non firmare fino a dopo la finale, “per rispetto”. Rispetto per chi, esattamente? Per i tifosi nerazzurri che ancora stavano cantando “Pazza Inter” mentre lui sognava dune di sabbia e petroldollari?
L’Approdo in Arabia
E così, Inzaghi, fresco di addio all’Inter, si presenta all’Al Hilal con la serenità di chi ha appena svuotato il conto in banca di un emiro. Contratto biennale, 26 milioni netti a stagione, il che lo rende l’allenatore più pagato al mondo. Una cifra che farebbe arrossire anche Cristiano Ronaldo, e non è poco. Ma attenzione, perché qui non si tratta solo di soldi. O almeno, questo è quello che ci racconta Simone in modalità “filosofo del calcio”. “Ho scelto l’Al Hilal per uscire dalla mia zona di comfort”, ha detto in una conferenza stampa che sembrava scritta da un copywriter di un’agenzia pubblicitaria. Zona di comfort? Caro Simone, dopo quattro anni a gestire le bizze di Lukaku, le lamentele di Lautaro e le riunioni con Zhang, direi che la tua zona di comfort era già un campo minato.
Ma passiamo al succo: il Mondiale per Club. L’Al Hilal di Inzaghi si presenta come una squadra che, sulla carta, sembra un mix tra un dream team di Football Manager e un esperimento sociale. Joao Cancelo, Kalidou Koulibaly, Ruben Neves, Sergej Milinkovic-Savic: una collezione di ex stelle europee che, per un motivo o per l’altro, hanno deciso che il deserto saudita è il posto giusto per rilanciarsi. E poi c’è Marcos Leonardo, il giovane brasiliano che sta rubando i titoli dei giornali con gol pesanti come macigni. Sotto la guida di Inzaghi, questa banda di mercenari di lusso ha fatto qualcosa che nessuno si aspettava: ha messo in difficoltà squadroni come Real Madrid e, udite udite, ha eliminato il Manchester City di Pep Guardiola in una partita che definire epica è riduttivo.
Il Mondiale per Club: quando l’Impossibile diventa Saudita
Il percorso dell’Al Hilal nel Mondiale per Club è stato un po’ come vedere un film di Quentin Tarantino: adrenalina, colpi di scena e un pizzico di follia. Nella fase a gironi, Inzaghi ha esordito con un pareggio 1-1 contro il Real Madrid di Xabi Alonso, un risultato che già di per sé sa di miracolo. Ruben Neves, trasformato da Inzaghi in un improbabile centrale difensivo, ha segnato su rigore, mentre Yassine Bounou ha parato un penalty a Federico Valverde al 92’. Un pareggio che ha fatto alzare più di un sopracciglio, con i tifosi sauditi che già sognavano di appendere una foto di Inzaghi accanto a quella dell’emiro.
Ma il capolavoro è arrivato nella sfida contro il Manchester City, un 4-3 in overtime che è già leggenda. Al Camping World Stadium di Orlando, sotto un cielo che minacciava tempeste (e non solo meteorologiche), l’Al Hilal ha ribaltato ogni pronostico. Dopo essere andati sotto con un gol di Bernardo Silva, i sauditi hanno risposto con una rimonta furiosa, guidata da Koulibaly e culminata con il gol decisivo di Marcos Leonardo nei supplementari. Inzaghi, a fine partita, ha paragonato la vittoria a “scalare l’Everest senza ossigeno”. Una metafora che, diciamolo, suona un po’ come una scusa per giustificare il fatto che il suo cuore probabilmente batteva a 180 all’ora mentre Pep Guardiola, dall’altra parte, si chiedeva come avesse fatto a perdere contro una squadra che, fino a ieri, era famosa più per i suoi budget che per i suoi trofei.
Ora, non fraintendiamoci: il successo di Inzaghi all’Al Hilal è innegabile. La squadra è ai quarti di finale, dove affronterà il Fluminense, e sembra avere tutte le carte in regola per continuare a sorprendere. Ma c’è qualcosa di irresistibilmente ironico in tutto questo. Simone, l’uomo che ha fatto innamorare i tifosi dell’Inter con il suo 3-5-2 e le sue conferenze stampa pacate, ora è il condottiero di un progetto che puzza di petrodollari e ambizioni sfrenate. È come se Leonardo da Vinci, dopo aver dipinto la Gioconda, fosse andato a lavorare per un magnate che gli chiedeva di decorare un grattacielo con gli emoji.
E poi c’è il fattore Inter. I tifosi nerazzurri, ancora scottati dall’addio, non hanno preso benissimo la notizia che Inzaghi avesse già un accordo con l’Al Hilal prima della finale di Champions. Antonio Cassano, con la delicatezza di un elefante in un negozio di porcellane, ha detto che Inzaghi “ha distrutto l’Inter” per correre dietro ai soldi. Esagerato? Forse. Ma il sospetto che Simone abbia scelto la via più redditizia rispetto a quella del cuore rimane. E mentre l’Al Hilal festeggia, a Milano c’è chi si chiede se, senza quel contratto faraonico, Inzaghi sarebbe ancora sulla panchina di San Siro, a gridare “Forza Inter” con quella voce che sembra sempre sul punto di spezzarsi.
Un Trionfo con un Retrogusto Amaro
Simone Inzaghi sta scrivendo una pagina importante della sua carriera, e l’Al Hilal, sotto la sua guida, sta dimostrando che il calcio saudita non è solo un circo per stelle in declino. Ma non possiamo fare a meno di sorridere davanti a questa parabola. È la storia di un uomo che ha scelto di lasciare il palcoscenico più prestigioso d’Europa per un’avventura che, per quanto gloriosa, sa un po’ di compromesso. E mentre l’Al Hilal sogna il tetto del mondo, noi ci chiediamo: caro Simone, sei davvero felice sotto quel sole che scotta? O, ogni tanto, ti manca il freddo di Milano e il rumore di San Siro? Per ora, continua a scalare il tuo Everest senza ossigeno. Ma, ti prego, non dimenticare di mandarci una cartolina.
