Nazionale, il circo continua: Spalletti sfrattato, Ranieri fa ciao con la manina

Che meraviglia l’Italia del pallone! Un eterno reality show dove ogni stagione cambia il protagonista, ma la trama resta sempre la stessa: un disastro epico, condito da promesse vuote e un pubblico che oscilla tra risate isteriche e crisi di nervi. L’ultima perla? L’esonero di Luciano Spalletti, il guru di Certaldo che doveva trasformarci in campioni del mondo e invece ci ha regalato una figura barbina degna di un film di Totò. E poi, ciliegina sulla torta, il gran rifiuto di Claudio Ranieri, che con la finezza di un diplomatico ha detto alla FIGC: “Grazie, ma preferisco guardarmi una replica di ‘Non ci resta che piangere’”.


Spalletti, il poeta che inciampa nel suo stesso ego
Iniziamo dal nostro ex condottiero, Luciano Spalletti, l’uomo che con il Napoli ha scritto sinfonie calcistiche e con la Nazionale ha composto un requiem che farebbe impallidire Mozart. Dopo il 3-0 incassato dalla Norvegia – una lezione di calcio impartita da Haaland a una difesa azzurra che sembrava un presepe messo insieme con i saldi di fine stagione – la FIGC ha deciso di scaricarlo con la grazia di un buttafuori che ti sbatte fuori dal locale alle 3 di mattina. In conferenza stampa, Luciano ha sfoderato il suo miglior repertorio da filosofo fallito: “Non sono riuscito a trasmettere la mia idea, sono il primo a essere deluso.” Oh, caro, su questo siamo tutti d’accordo: la tua idea era chiara come un manuale di fisica quantistica scritto in aramaico.
Eppure, c’è un che di esilarante nel suo addio. Spalletti non si è dimesso, sia chiaro: è stato Gabriele Gravina a indicargli l’uscita, con un comunicato che aveva il calore di una bolletta dell’Enel. Caro Luciano, il tuo scudetto a Napoli è stato un capolavoro, ma come CT sei stato un disastro così grottesco che persino Giampiero Ventura ti sta mandando un mazzo di fiori per solidarietà.


Ranieri, il Messia che preferisce il divano
E poi c’è Claudio Ranieri, il nostro “Sir”, l’uomo che ha fatto piangere di gioia Leicester e che in Italia è venerato come un incrocio tra Padre Pio e un allenatore di X Factor. Dopo il disastro di Oslo, il web si è trasformato in un santuario virtuale dedicato a Claudio, con tifosi che, in un sondaggio della Gazzetta, lo hanno eletto salvatore della patria con percentuali degne di un plebiscito nordcoreano. “Solo Ranieri può rimettere in piedi questa baracca!” gridavano i social, mentre i giornaloni già fantasticavano su un suo ritorno trionfale, con la Nazionale trasformata in un Leicester 2.0, pronta a vincere il Mondiale con due contropiedi e un gol di un terzino sconosciuto.
E invece? Invece Claudio, con la classe di chi ha già visto troppi film horror per cascarci di nuovo, ha risposto con un “no, grazie” che sembrava un inchino di Buckingham Palace. “Sto bene alla Roma, non disturbate,” ha fatto sapere, mentre si gode il suo ruolo di oracolo per i Friedkin, che lo trattano come un Buddha con la sciarpa giallorossa. E come dargli torto? A 73 anni, dopo aver conquistato una Premier da fantascienza e aver trasformato squadre di scarti in macchine da guerra, perché mai dovrebbe buttarsi in questa palude chiamata Nazionale? La FIGC è un circo senza domatore, e Ranieri non ha nessuna intenzione di fare il pagliaccio. Bravo, Claudio, continua a sorseggiare il tuo prosecco: sei l’unico che capisce quando è ora di dire basta.


Gravina, l’imperatore del caos
E poi c’è lui, Gabriele Gravina, il gran visir della FIGC, l’uomo che sembra uscito da un corso di sopravvivenza per burocrati con il superpotere di restare incollato alla poltrona mentre tutto crolla. Gravina è il vero burattinaio di questa farsa, quello che ha scelto Spalletti con l’entusiasmo di chi compra un’auto usata senza controllare il motore, l’ha difeso contro ogni logica, e poi l’ha scaricato con la velocità di un fulmine quando il disastro è diventato innegabile. E ora? Ora si ritrova con una Nazionale che sembra un puzzle con metà dei pezzi mancanti, un cammino verso il Mondiale 2026 che pende come la spada di Damocle, e un’espressione da “tranquilli, ho tutto sotto controllo” che fa ridere più di un monologo di Crozza.
Gravina si presenta come il salvatore del calcio italiano, ma il suo regno è un deserto di talenti, idee e dignità. Dove sono i giovani? Perché i club trattano la Nazionale come un impegno da segnare in agenda tra la spesa e la visita dal dentista? E, soprattutto, perché ogni due anni ci ritroviamo a pregare per un miracolo mentre Francia, Spagna e persino la Norvegia ci fanno ciao con la manina da un jet privato? Caro Gabriele, forse il prossimo a dover raccogliere le sue cose non è l’allenatore, ma quel tizio che da anni promette rivoluzioni e consegna solo figuracce intergalattiche. Ma tranquilli, il suo contratto scade nel 2028: abbiamo ancora tempo per collezionare un paio di esclusioni mondiali e una retrocessione in Nations League.


Il toto-allenatore: un casting da Zelig
Con Spalletti fuori gioco e Ranieri che ha chiuso la saracinesca, la FIGC si è lanciata nel suo passatempo preferito: il toto-allenatore, un casting che sembra la versione calcistica di “Amici di Maria De Filippi”. Il nome più caldo? Stefano Pioli, l’ex milanista che in Arabia Saudita ha allenato più dune di sabbia che campioni veri. Pioli è un bravo ragazzo, ma ispirare i tifosi italiani è come chiedere a una calcolatrice di recitare Dante. Poi c’è l’ipotesi Roberto Mancini, che a Rimini ha fatto il vago con la grazia di un politico in campagna elettorale, lasciando intendere che forse, chissà, potrebbe rimpiangere la sua fuga in Arabia. Peccato che con Gravina sia più freddo di un inverno siberiano, e un suo ritorno sarebbe più complicato di un divorzio con alimenti. Altri nomi? Cannavaro, De Rossi, Gattuso: tutti eroi del 2006, tutti allenatori con l’esperienza di un concorrente di “Bake Off Italia” mandato a fare una torta nuziale. La FIGC brancola nel buio, e il rischio è che finisca per pescare un nome a caso, tipo il cugino di un amico che una volta ha vinto un torneo di calcetto.


Un calcio italiano che fa ridere (e disperare)
E così, mentre l’Italia calcistica si rotola nel fango, la verità è che il problema non è solo Spalletti, né il “no” di Ranieri, né l’ennesima lotteria di nomi. Il problema è un movimento che vive di ricordi sbiaditi, che produce talenti con la frequenza di un’eclissi solare, e che si ostina a credere di essere il Real Madrid del mondo mentre il resto d’Europa ci guarda come si guarda un clown che inciampa nei suoi stessi piedi. La Nazionale è lo specchio di un calcio italiano che ha smesso di pensare, di rischiare, di esistere. E allora, prepariamoci a un altro Mondiale guardato dal divano, con la solita litania di “se solo avessimo fatto questo o quello”. Spalletti saluta, Ranieri si defila, Gravina resta al timone, e noi? Noi stiamo qui, a ridere di un disastro che è la fotografia perfetta del nostro caos. Evviva il calcio italiano: il biglietto è caro, ma lo spettacolo è gratis. Purtroppo.

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