Inzaghi, il Demone di Piacenza, pianta l’Inter per un’oasi di petrodollari

Simone Inzaghi, il “Demone di Piacenza”, l’uomo che ha fatto brillare l’Inter come una supernova per poi scaricarla come un vecchio smartphone prima dell’upgrade, ha deciso di fare le valigie. Destinazione? Non un tempio del calcio come il Camp Nou o Old Trafford, ma il caldo soffocante e i portafogli straripanti dell’Arabia Saudita, precisamente l’Al-Hilal, che gli ha sventolato sotto il naso un contratto da 50 milioni di euro in due anni. Cinquanta. In due anni. Una cifra che farebbe sembrare Jeff Bezos un tizio che chiede l’elemosina fuori dalla metro. E noi, poveri mortali, restiamo qui a contare le monetine, mentre Simone si prepara a contare banconote sotto un ombrellone, con un cammello come vicino di banco e un ventilatore a pieno regime.

Quattro anni di Inzaghi: trofei, tonfi e giacche in volo libero

Era il 2021 quando Simone Inzaghi, fresco di Lazio e con un soprannome che sembra rubato a un cattivo di un film di Tarantino, approda all’Inter. Prende il timone dopo Antonio Conte, un compito che definire “ingrato” è come chiamare un uragano “una leggera brezza”. I nerazzurri vengono da uno Scudetto, ma il bilancio sembra il copione di un film catastrofico di Roland Emmerich. Eppure, Simone, con quel suo 3-5-2 fluido come un prosecco ghiacciato e il carisma di un motivatore da televendita, si rimbocca le maniche. E che risultati! In quattro anni, porta a casa uno Scudetto (2023-24, il ventesimo, quello che ha fatto sciogliere i tifosi come gelati al sole di agosto), due Coppe Italia, tre Supercoppe Italiane e due finali di Champions League. Non proprio il bottino di un allenatore da torneo aziendale, no?

Ma, perché il destino ha il senso dell’umorismo di un cabarettista di serie Z, questa epopea è stata condita con figuracce che neanche un comico alle prime armi. La finale di Champions 2023 contro il Manchester City di Pep “l’oracolo” Guardiola finisce 1-0. Una sconfitta che pizzica, ma almeno ti lascia l’orgoglio, come quando perdi a Trivial Pursuit ma hai comunque risposto alla domanda sul formaggio. Poi arriva il 2025, e il PSG in finale di Champions decide di trasformare l’Inter in un tappetino da ingresso: 5-0, la peggior batosta nella storia delle finali europee. Una roba che sembra una partita di calcetto tra amici dopo una serata di tequila. Inzaghi, in panchina, lancia la giacca come un attore di teatro che ha dimenticato le battute e biascica post-partita: “Non sembrava la mia Inter”. No, caro Simone, sembrava l’Inter di un universo parallelo dove i difensori giocano con i sandali e un cocktail in mano.

E non è tutto. In Serie A, l’Inter di Inzaghi è una Lamborghini, ma nel 2024-25 si fa fregare lo Scudetto dal Napoli all’ultimo respiro, come un ciclista che inciampa a due metri dal traguardo. Coppa Italia? Fuori in semifinale contro il Milan, quei cugini insopportabili che sembrano esistere solo per guastarti la digestione. Supercoppa? Persa, sempre contro il Milan. Un’annata che prometteva un triplete e si è chiusa con un bel “torna domani, forse”. Il Demone, a quanto pare, ha il talento di scivolare nei momenti clou, come un pattinatore sul ghiaccio che finisce a gambe all’aria davanti ai giudici.

Il richiamo del deserto: petrodollari e zero grattacapi

Ed eccoci al colpo di scena, degno di una telenovela sudamericana. Dopo il 5-0 del PSG, mentre i tifosi nerazzurri si chiedono se sia meglio bruciare le bandiere o prenotare una terapia di gruppo, arriva la notizia bomba: Inzaghi e l’Inter si separano “di comune accordo”. Traduzione: l’Al-Hilal ha aperto il portafoglio e ha detto “Simone, vieni a giocare nella sabbia con noi, ti paghiamo più di un re del petrolio”. E lui, dopo aver giurato amore eterno all’Inter con la convinzione di un politico che promette tagli alle tasse, ha detto sì. Cinquanta milioni in due anni, 25 all’anno, una cifra che farebbe svenire anche un monaco buddista. E non provate a venderci la storia della “sfida sportiva”, perché il campionato saudita ha la competizione di una partita di bocce in spiaggia.

Simone, che fino a ieri liquidava le voci saudite con un “ma dai, sono sciocchezze” (parole sue, giuro), improvvisamente scopre il fascino irresistibile del deserto. E non è solo per i soldi, sia chiaro: l’Al-Hilal gli offre una vita senza il fiato sul collo di San Siro, senza i derby che ti fanno venire i capelli bianchi a trent’anni, senza il peso di una Champions da vincere. È come passare da un lavoro in miniera a una vacanza a cinque stelle: zero stress, solo assegni e aria condizionata sparata a mille. Ma, caro Simone, permettici una stilettata al vetriolo: dopo aver fatto sognare i tifosi, li molli per una liga che un tifoso ha definito “la Serie D con i cammelli e il Wi-Fi”? Davvero? Avevi giurato che l’Inter era la tua casa, il tuo cuore, la tua missione. E ora te ne vai a fare il beduino con un conto in banca più gonfio di una mongolfiera?

Un addio che sa di barzelletta

L’Inter, orfana del suo Demone, si prepara al Mondiale per Club con la grazia di un elefante che balla il valzer. E chi allenerà i nerazzurri? Forse Cesc Fàbregas, che ha portato il Como a un decimo posto in Serie A, ma che, con tutto il rispetto, sembra più un modello da copertina che un erede di Trapattoni. È come sostituire un vino d’annata con una bibita gassata: magari disseta, ma il retrogusto è di rimpianto. E i tifosi? Quelli che hanno esultato per lo Scudetto, pianto per le finali perse, creduto nel tuo progetto come fosse il Santo Graal? Ora si ritrovano con un pugno di sabbia (tanto per restare in tema) e un allenatore che ha scelto i petrodollari al posto della gloria. È come scoprire che il tuo grande amore ti ha mollato per un influencer con una villa a Dubai e un garage pieno di Ferrari.

L’eredità di Inzaghi

Scherzi a parte, Inzaghi è stato un mago, almeno finché non ha deciso di fare il David Copperfield del deserto. Ha preso un’Inter in crisi post-Conte, con un bilancio che sembrava un film horror e un Lukaku in fuga come un fuggitivo da un poliziesco, e l’ha trasformata in una squadra che ha fatto tremare l’Europa. Il suo 3-5-2, fluido come una coreografia di Broadway, ha mandato in tilt squadroni come il Barcellona (7-6 in semifinale di Champions, roba da standing ovation) e il Milan (3-0 nel 2023, ciao cugini, tornate a piangere). Ha trasformato Çalhanoğlu in un direttore d’orchestra e Lautaro in un cecchino d’area. È stato un “Demone” nel senso migliore: astuto, carismatico, capace di tirar fuori il massimo da una rosa che non era esattamente il cast di Avengers.

Ma Inzaghi ha anche un problemino con le partite che contano. Due finali di Champions perse, un 5-0 che farà avere incubi fino al 2030, uno Scudetto sfumato come un miraggio, una Supercoppa regalata ai cugini. È come se il Demone, nei momenti decisivi, si trasformasse in un Diavoletto di Piacenza che inciampa sul suo stesso mantello e finisce a terra con un tonfo. E ora, con questa fuga saudita, sembra aver scelto la via più facile: soldi, sole, zero drammi. Caro Simone, ti auguriamo di conquistare il deserto, ma se perdi 5-0 anche lì, non venire a raccontare storie. Almeno portati una crema solare decente.

Arrivederci, Simone, e non dimenticare il turbante

Inzaghi lascia l’Inter come uno dei suoi allenatori più vincenti, ma anche come quello che ha scelto di scambiare la gloria europea per un assegno con più zeri di un codice a barre. Mentre l’Inter si prepara a navigare un futuro incerto, lui si godrà i suoi milioni sotto il sole di Riyad, probabilmente con una giacca nuova da lanciare e un cammello come pubblico. Grazie Simone, ma per il tuo addio in stile “prendi i soldi e scappa” permettici un’ultima battuta: ci mancherai, ma forse non quanto il tuo nuovo conto in banca. Buona fortuna all’Al-Hilal, e speriamo che il deserto ti ispiri più di quanto abbiano fatto certe finali.

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