L’Allianz Arena, tempio del calcio europeo, si tinge di rosso e blu, ma non è il Bayern a festeggiare. No, è il Paris Saint-Germain che alza al cielo la sua prima Champions League, e lo fa con una manita che entra dritta nei libri di storia come la più sonora umiliazione in una finale della competizione. Cinque a zero. Contro un’Inter che, diciamolo con il dovuto garbo, sembrava aver lasciato il cuore a Milano, insieme a ogni briciolo di dignità calcistica. Una serata che, potremmo definire “da incubo nerazzurro”, e che qualcuno, descriverebbe come “la Caporetto del Biscione, con l’aggravante del ridicolo”.
Il trionfo di Luis Enrique, il profeta che nessuno ascoltava
Partiamo dal vincitore, perché qui c’è un uomo che merita un inchino. Luis Enrique, il tecnico che a Roma fu accolto con striscioni del tipo “Luis, vattene” e che ora può guardare dall’alto in basso chiunque, ha trasformato il PSG da collezione di figurine Panini a macchina da guerra. Altro che Neymar, Messi o Mbappé: il suo PSG, età media 24 anni, è un inno al collettivo, un’orchestra che suona a memoria sotto la bacchetta di un direttore che sa quando accelerare e quando far male. Cinque gol, non sono un caso. Sono la firma di un allenatore che ha preso una squadra abituata a spendere miliardi per vincere il nulla e l’ha resa una Squadra con la S maiuscola.
E poi c’è Désiré Doué, il diciannovenne che ha deciso di presentarsi al mondo con un assist e una doppietta, mandando in tilt una difesa nerazzurra che sembrava giocare a nascondino, ma senza mai trovare l’avversario. Hakimi, Kvaratskhelia, Mayulu: tutti a segno, tutti a danzare sul prato di Monaco mentre l’Inter, beh, l’Inter stava ancora cercando di capire dove fosse il pallone. Luis Enrique, che dedica la vittoria alla figlia Xana, scomparsa tragicamente, si conferma non solo un grande allenatore, ma un uomo che sa trasformare il dolore in trionfo. Chapeau.
L’Inter, ovvero: come perdere tutto in una stagione
E poi c’è l’Inter. La squadra che, fino a metà aprile, sembrava destinata a dominare il mondo, o almeno l’Italia. In corsa per lo Scudetto, la Coppa Italia, la Supercoppa e la Champions, i nerazzurri di Simone Inzaghi hanno fatto quello che nessun tifoso avrebbe mai voluto vedere: perdere tutto, sempre all’ultima curva. Lo Scudetto è sfumato per un punto a favore del Napoli, la Supercoppa è finita nelle mani del Milan, la Coppa Italia è svanita in semifinale, e ora questa finale di Champions, che doveva essere l’apoteosi, si è trasformata in una debacle storica. Cinque gol di scarto in una finale di Champions non si erano mai visti, e l’Inter ha deciso di entrare negli annali dalla porta sbagliata.
Simone Inzaghi, che pure ha portato i suoi a un passo da tutto, è uscito dall’Allianz Arena con l’aria di chi ha appena visto un fantasma. E non era il fantasma di Mourinho, ma quello di una stagione che prometteva gloria e ha consegnato solo rimpianti. “Zero tituli”, come direbbe qualcuno, e il popolo nerazzurro, che già pregustava la quarta stella sulla maglia, si ritrova a contare le dita di una mano aperta, quella che il PSG ha sventolato in faccia ai tifosi interisti.
La partita: un massacro
La cronaca della partita è quasi superflua, ma vale la pena raccontarla, se non altro per il gusto sadico di rivivere il disastro. Il PSG parte a razzo, con un pressing che sembra un plotone d’esecuzione. Al 12’ Hakimi, l’ex di turno, segna e non esulta, quasi a dire “scusate, ma dovevo”. Al 20’ Doué piazza il 2-0 con un tiro deviato da un Dimarco in versione turista per caso. Nel secondo tempo, la musica non cambia: Doué fa il bis, Kvaratskhelia si unisce alla festa, e Mayulu, un classe 2006, chiude i conti con il 5-0. L’Inter? Un tiro in porta al 75’, parato da Donnarumma, che probabilmente stava già pensando alla cena.
La difesa nerazzurra, solitamente un bunker, sembrava un colabrodo. Acerbi, Bastoni, Pavard: tutti travolti dalla velocità e dall’imprevedibilità dei parigini. Barella e Calhanoglu, i fari del centrocampo, hanno passato la serata a inseguire Vitinha e Fabian Ruiz, senza mai trovarli. Lautaro Martinez e Thuram, davanti, sembravano due spettatori paganti, con la differenza che non avevano pagato per soffrire così tanto.
E mentre a Parigi si scatena la festa (con tanto di disordini, perché i francesi sanno sempre come esagerare), in Italia i tifosi di Milan e Juventus si sfregano le mani. Sui social, l’ironia è un diluvio: “Coppa del Nonno”, “Gli ingiocabili ”, “Zeru tituli”. Gli Juventini, che di finali perse ne sanno qualcosa, si godono il momento. I Milanisti, ricordano che l’Inter “ha mandato la Juve in B” ma ora paga il conto con gli interessi. Anche i napoletani, freschi di Scudetto, si uniscono al coro, perché in fondo, con l’Inter vista a Monaco di Baviera, ce n’è per tutti.
Eppure, in mezzo a questo tsunami di sfottò, c’è da riconoscere che l’Inter una stagione l’ha giocata, eccome. Fino a primavera era in corsa su tutti i fronti, ha battuto Bayern e Barcellona, ha fatto sognare i tifosi. Ma, come direbbe Gianni Brera, il calcio è spietato: non basta partecipare, bisogna vincere. E l’Inter, in questa stagione, ha imparato a sue spese che il confine tra l’epica e il ridicolo è sottile come un velo.
Lezioni da Monaco e il futuro incerto
Cosa resta di questa finale? Per il PSG, l’inizio di un’era. Luis Enrique ha dimostrato che si può vincere con i giovani, il coraggio e un’idea di gioco, senza bisogno di spendere il PIL di un piccolo Stato. Doué, Mayulu, Lee Kang-in: il futuro è loro. Per l’Inter, invece, è tempo di guardarsi allo specchio. La squadra, con un’età media da casa di riposo, ha pagato il prezzo di una stagione estenuante. Inzaghi, che resta un grande tecnico, dovrà ripensare il suo 3-5-2, smontato come un puzzle da un PSG che giocava a scacchi mentre l’Inter era ferma alla briscola.
E il calcio italiano? Esce da Monaco con un occhio nero. Il PSG ha dato una lezione: gioventù, velocità, audacia. In Serie A, dove si punta ancora sui “senatori d’esperienza”, è ora di cambiare marcia. “È tempo di raccogliere i cocci e bere un amaro”. E mentre Parigi brinda, Milano sogna un riscatto che sembra lontano anni luce.
