Estate 2025: il sole cuoce l’asfalto, le granite evaporano in due secondi e la Serie A si dedica al suo passatempo nazionale, il valzer delle panchine. Non aspettatevi un tango raffinato, macché: qui siamo al livello di una quadriglia improvvisata in cui tutti pestano i piedi a tutti, i presidenti inciampano nei loro stessi ego e gli allenatori girano come trottole impazzite. È il calcio italiano, un eterno girotondo di promesse farlocche, contratti stracciati e tifosi che, poveretti, ancora credono al lieto fine.
Napoli: Conte, il condottiero con la valigia in mano (Forse)
Sotto il Vesuvio, Antonio Conte è il Messia che ha riportato lo scudetto a Napoli, ma anche i Messia, si sa, hanno un debole per le uscite di scena drammatiche. La Juventus, con la sfacciataggine di chi ti ruba il parcheggio mentre sei in fila, gli sussurra paroline dolci: “Torna, Antonio, abbiamo ancora il tuo vecchio playbook!”. Peccato che a Torino non sappiano nemmeno chi ha le chiavi della sala riunioni, con una dirigenza che sembra un puzzle da discount con i pezzi sbagliati. Aurelio De Laurentiis, il patron che dirige il club come un kolossal di serie B, si pavoneggia con sogni di mercato da capogiro: si parla di De Bruyne e Jonathan David ma conoscendo Aurelio, potrebbe arrivare il vicino di casa di Mbappé con un curriculum su LinkedIn. Conte resta? Va? “Napoli è il mio tutto”, dichiara, mentre i tifosi si chiedono se quel “tutto” includa un biglietto aereo di sola andata. In Serie A, la lealtà è come un rigore al 90°: rara e sospetta.
Milan: Tare, Allegri e l’illusione di un progetto
A Milano, sponda rossonera, il caos è più prevedibile di un temporale d’agosto. Igli Tare, nuovo direttore sportivo, è sbarcato con l’entusiasmo di chi deve risolvere un cubo di Rubik bendato. La panchina è un rompicapo che farebbe impallidire un matematico: Vincenzo Italiano era il prescelto, ma ora spunta Thiago Motta, perché al Milan cambiare idea è più frequente di un cambio di calze. E poi c’è Max Allegri, il tecnico che Tare vorrebbe rispolverare come un vecchio maglione trovato in soffitta. Allegri, scaricato dalla Juve con la gentilezza di un sms di rottura, è la carta della sicurezza: non ti fa volare, ma almeno non precipiti. La dirigenza rossonera, però, è un manuale di marketing applicato male: ogni anno vende sogni di gloria e consegna un abbonamento a una stagione di “ci riproveremo”. I tifosi, ancora sperano che Zlatan risolva tutto con un discorso motivazionale e un calcio volante.
Roma: Un casting da film di quart’ordine
Nella Capitale, sponda giallorossa, la situazione è più ingarbugliata di un cavo USB dopo un anno in borsa. Claudio Ranieri, il saggio che sembra uscito da un’epopea omerica, ha deciso di levare le tende a fine stagione, ma non prima di giocare al piccolo re con i Friedkin, scegliendo il prossimo allenatore come se fosse l’erede al trono. I nomi? Un elenco che sembra la lista dei partecipanti a un reality show di serie Z: Gasperini, che ha più anni di esperienza che capelli in testa; Fabregas, che a Como sta costruendo un progetto più stabile di una cassaforte; e poi Pioli, Sarri, Allegri, persino Vieira, perché a Roma dire “no” a qualcuno è considerato scortese. La Roma è l’eterno “quasi”: quasi grande, quasi vincente, quasi pronta. I tifosi, con una pazienza da Guinness, continuano a sognare mentre la squadra alterna momenti di genio a blackout che farebbero invidia a una centrale elettrica in sciopero. Cambiare allenatore, qui, è come cambiare il conducente di un autobus senza freni: speri che funzioni, ma sai che non è il vero problema.
Juventus, Inter e il carosello del nonsense
La Juventus? Un romanzo di Kafka con meno logica. Igor Tudor barcolla come un equilibrista con le vertigini, Conte è il sogno proibito, ma prima bisogna capire chi comanda in società, perché a Torino sembra di essere in un episodio di Succession senza il budget. All’Inter, Simone Inzaghi rischia di essere spodestato da un nome a sorpresa come Fabregas, perché anche gli ex campioni d’Italia adorano complicarsi la vita senza motivo. L’Atalanta saluta Gasperini per puntare su Thiago Motta o su Farioli, il Bologna rinnova Italiano e la Lazio fantastica sul ritorno di Sarri, perché in Serie A il passato è più rassicurante di un mutuo a tasso fisso. Diciotto squadre su venti, probabilmente, cambieranno allenatore: un record che farebbe ridere, se non fosse l’ennesima prova che il calcio italiano è un eterno déjà-vu. I presidenti, con la faccia tosta di chi vende ghiaccio agli esquimesi, sacrificano tecnici per non guardarsi allo specchio, mentre i tifosi, eroi senza medaglia, continuano a pagare per vedere lo stesso film con un finale sempre più prevedibile.
Questo valzer delle panchine è un vortice di promesse scadute, annunci gonfiati e idee che durano meno di un gelato sotto il sole. In Serie A, l’allenatore è il capro espiatorio perfetto: vinci, sei un genio; perdi, sei già sulla A4 direzione casa. I presidenti orchestrano questa farsa con la disinvoltura di chi sa che i tifosi applaudiranno comunque, illusi da un “progetto” che esiste solo nei comunicati stampa. Conte riflette, Allegri rinasce, Italiano sceglie, Gasperini saluta: ogni mossa è un colpo di scena in un copione scritto con i piedi. Preparate i popcorn, perché questo valzer non è una danza, ma una corsa a ostacoli dove tutti inciampano e nessuno arriva al traguardo. In Italia, il calcio è un eterno giro di giostra: salite, pagate, e pregate che il prossimo allenatore non scenda alla prima curva.
