Palladino e la Fiorentina: un’altalena da luna park e un addio al vetriolo

La stagione  della Fiorentina, con Raffaele Palladino al timone, è stata un giro sulle montagne russe senza cintura di sicurezza: momenti di euforia da far gridare “campioni d’Italia” sotto l’effetto di un Brunello di troppo, e cadute rovinose che neanche un film di Totò avrebbe saputo rendere più grottesche. E poi, il gran finale: Palladino che sbatte la porta, lasciando il povero Daniele Pradè a raccogliere i cocci di una relazione finita con più acredine di un divorzio tra star di Hollywood.

Un’altalena viola: tra sogni di gloria e scivoloni da dilettanti

Quando la Fiorentina ha annunciato Palladino come successore di Vincenzo Italiano, l’aria a Firenze profumava di speranza, come quella di un turista che crede di trovare parcheggio in centro il sabato sera. Palladino, il golden boy di Monza, quello che aveva trasformato una squadra di onesti pedalatori in un’outsider che faceva sorridere come un meme ben riuscito, sembrava l’uomo giusto per riportare i viola nell’élite del calcio italiano. La prima parte del campionato è stata un fuoco d’artificio: otto vittorie consecutive, scalpi di big come Inter e Milan (ma non il Napoli, perché a Napoli non si vince neanche a morra), e un entusiasmo che ha fatto cantare la Curva Fiesole come se fosse già Carnevale. Ma, come in ogni storia d’amore, dopo i primi baci appassionati arrivano le prime liti, e la stagione viola si è trasformata in un’altalena che avrebbe fatto venire la nausea anche a un marinaio norvegese.

La Fiorentina ha alternato prestazioni da Champions League a figuracce che sembravano uscite da un’amichevole estiva contro la rappresentativa dei pizzaioli di Coverciano. La Coppa Italia? Un disastro, con l’eliminazione agli ottavi che ha fatto storcere il naso ai tifosi più di un rigore negato al 90°. E poi c’è la Conference League, quella competizione che tutti trattano come il parente povero dell’Europa League, ma che per la Fiorentina è diventata una specie di abbonamento annuale: ci vai, perdi, torni a casa, e l’anno dopo ci ricaschi. Sesto posto in classifica con 65 punti, il miglior risultato degli ultimi 11 anni, ma con un retrogusto amaro, perché con quei punti, in un’altra stagione, saresti in Europa League, non a giocare contro squadre di cui fatichi a trovare la capitale su Google Maps.

La semifinale di Conference contro il Betis è stata la ciliegina sulla torta avariata: una sconfitta che ha spezzato il cuore dei tifosi e fatto scricchiolare la panchina di Palladino come un vecchio parquet. Eppure, il sesto posto è arrivato, grazie a un harakiri della Lazio contro il Lecce (grazie, ragazzi, vi dobbiamo un aperitivo). Ma la piazza fiorentina, esigente come un critico d’arte davanti a un quadro di un bambino di cinque anni, non ha mai davvero abbracciato Palladino. La Curva Fiesole, in particolare, ha storto il naso di fronte al suo 3-4-2-1 a volte troppo timoroso e a quelle sconfitte contro le “piccole” che bruciano più di una bolletta del gas a gennaio.

Il duello con Pradè: un western senza vincitori

E qui entra in scena il nostro villain, il direttore sportivo Daniele Pradè, un uomo che sembra avere un’allergia congenita al silenzio e una passione smodata per i microfoni. Ogni volta che la Fiorentina inciampava, Pradè era lì, pronto a dispensare perle di saggezza con quel tono da “io l’avevo detto” che farebbe perdere la pazienza a un monaco buddhista. Palladino, che non è esattamente il tipo da mandar giù rospi senza batter ciglio, ha iniziato a mostrare segni di insofferenza. Il rapporto tra i due, secondo le voci di corridoio, era più teso di una corda di violino: divergenze sul mercato, sulla gestione della rosa, e probabilmente anche sul colore delle divise da allenamento (ok, ci siamo capiti).

Il mercato  è forse il vero campo di battaglia. Palladino, che sognava una Fiorentina capace di puntare alla Champions, si è trovato a gestire una rosa con buchi grandi come il buco dell’ozono: un centravanti di scorta inesistente, un quinto di destra che non saltava l’uomo neanche con un trampolino, e un centrocampo che correva con l’entusiasmo di un impiegato il lunedì mattina. Quando il tecnico ha provato a sollevare il problema, Pradè ha risposto con un’alzata di spalle e un’intervista in cui difendeva il suo operato come se fosse l’ultimo baluardo della civiltà calcistica. Risultato? Una guerra fredda che ha fatto più danni di un inverno senza riscaldamento.

L’addio al veleno: Palladino sbatte la porta

E così, Palladino ha preso il telefono, ha chiamato la dirigenza e ha sganciato la bomba: “Me ne vado”. Un fulmine a ciel sereno che ha lasciato Rocco Commisso con l’espressione di chi ha appena scoperto che il suo Brunello preferito è stato annacquato. La società, colta alla sprovvista, ha provato a ricucire lo strappo, ma Palladino era più deciso di un toro infuriato. Motivo ufficiale? “Mancanza di condizioni per continuare”. Traduzione: “Non ne posso più di questa soap opera”.

Le voci parlano di un Palladino esausto: stanco delle pressioni di una piazza che lo ha sempre guardato con sospetto, stanco delle frecciate di Pradè, stanco di un progetto che, nonostante il contratto fino al 2027, sembrava più un’illusione che una realtà. Qualcuno sussurra di offerte da altri club: l’Atalanta, in cerca di un erede per Gasperini, o la Lazio, se Baroni dovesse fare le valigie. Per ora, però, sono solo chiacchiere da bar. Quel che è certo è che Palladino ha lasciato Firenze con un addio che sa di schiaffo in pieno volto, e la Fiorentina si ritrova a dover cercare un nuovo tecnico mentre i tifosi si chiedono se la Conference League sia una maledizione o solo un crudele scherzo del destino.

E ora, che ne sarà dei viola?

Con Palladino fuori dai giochi, la Fiorentina si trova a un bivio. Pradè, che ora dovrà guardarsi le spalle da una piazza inferocita, avrà il compito di trovare un nuovo allenatore capace di domare una squadra che sembra avere più drammi di una stagione di “Beautiful”. I nomi che circolano? Da Gilardino ad Aquilani, passando per l’illusione del colpo ad effetto chiamato Thiago Motta. Nel frattempo, il mercato aspetta, pronto a regalare nuove emozioni o nuove delusioni. E i tifosi viola, continueranno a sognare una squadra che un giorno, forse, smetterà di essere l’eterna incompiuta del calcio italiano. Ma per ora, caro Palladino, grazie per lo spettacolo. E arrivederci, ovunque tu vada. Firenze non ti dimenticherà. O forse sì, dipende da chi arriva dopo di te.

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