La Serie A sta per calare il sipario con un finale che sembra orchestrato da un regista con un debole per i colpi di scena e un odio viscerale per la sanità mentale. Napoli e Inter, divise da un punticino più precario di una dieta pre-estiva, si giocano lo scudetto all’ultima giornata, venerdì 23 maggio, in un duello che mescola epica, nevrosi e puro autolesionismo calcistico. Il Napoli, a 79 punti, accoglie un Cagliari che probabilmente sta già sfogliando cataloghi di ombrelloni, mentre l’Inter, a 78, va a Como a supplicare un miracolo contro una squadra che Cesc Fabregas ha trasformato in una trappola per topi con scarpini. E se finiscono pari? Spareggio, una roba così vintage che sembra rispolverata dai tempi in cui si usavano i fax.
Partiamo dal Napoli, che sembra il protagonista di un film di redenzione scritto da un Fellini con troppe idee e poco sonno. Dopo la stagione scorsa, un decimo posto che ha fatto rimpiangere persino le domeniche passate a fare zapping tra televendite, arriva Antonio Conte, il tiranno con la chioma da copertina di Vogue e un’ossessione per la vittoria che farebbe sembrare un life coach un nevrotico. Con lui, il Napoli è diventato un rullo compressore:
Romelu Lukaku segna come se ogni gol fosse una mail di vendetta a chi lo chiamava “ex giocatore”, Politano dribbla come se i difensori fossero birilli in saldo, e il Maradona è un calderone di follia collettiva pronto a esplodere. Ma, attenzione, perché i partenopei hanno un dottorato in autolesionismo. Il 2-2 col Genoa alla 36ª? Una performance da Oscar nella categoria “come buttare via due punti”. Lo 0-0 a Parma alla penultima? Un trattato su come rendere complicato l’ovvio. Conte, in sala stampa, ha tuonato: “Lo scudetto ce lo prendiamo, mica stiamo qui a giocare a briscola!”. Sempre un lirico.
Contro il Cagliari, il Napoli ha il colpo del KO, ma fidarsi è come credere che a Napoli si possa trovare parcheggio in cinque minuti. I sardi, che sulla carta sono già con le infradito, potrebbero decidere di giocare la partita della vita, e i tifosi azzurri lo sanno: a Napoli, il confine tra apoteosi e apocalisse è più sottile di una mozzarella di bufala. Se Conte non tiene a bada i suoi, prepariamoci a scene da melodramma, con i tifosi che cantano “Un giorno all’improvviso” mentre ordinano scorte di Maalox.
Poi c’è l’Inter, la squadra che sembra intrappolata in un loop di “quasi ce la faccio, ma poi no”. Campioni in carica, con una rosa che potrebbe vincere la Champions giocando a scopa, i nerazzurri hanno passato la stagione a inseguire il Napoli come un impiegato che rincorre il treno delle 7:40 con le ciabatte. Simone Inzaghi, con quel suo fare da poeta maledetto che recita Montale a un pubblico distratto, ha provato a tenere insieme una squadra sfinita da una Champions che li porterà in finale col PSG (31 maggio, segnatevi la data). Ma il 2-2 con la Lazio alla penultima giornata è stato un capolavoro di autolesionismo: due volte in vantaggio, e poi? Un gol di Pedro al 90’ che ha trasformato San Siro in un set di “L’Esorcista”. “Abbiamo sbagliato noi”, ha biascicato Inzaghi, mentre i tifosi nerazzurri accendevano ceri e maledicevano ogni decisione arbitrale.
Ora, l’Inter va a Como, contro una squadra che Fabregas ha reso più insidiosa di un quiz di matematica all’esame di maturità. “Giochiamo per vincere”, ha detto lo spagnolo, con un ghigno che sa di tranello premeditato. Tradotto: “Inzaghi, porta un rosario e un amuleto”. L’Inter deve vincere e sperare che il Napoli scivoli. Facile, no? Come fare yoga su una sedia elettrica. E poi c’è l’ombra dello spareggio: se finiscono a pari punti, si va a una gara secca, probabilmente all’Olimpico, con l’Inter che sfoggia una differenza reti da thriller (+42 contro +30). Ma, diciamolo: un’Inter che arriva allo spareggio con mezza squadra in barella e l’altra mezza con la testa a Parigi? Sarebbe come chiedere a un maratoneta di fare i 100 metri dopo una maratona in salita.
La Lega: Una Burocrazia da Commedia all’italiana
Non dimentichiamo la Lega Serie A, che in questa vicenda merita un trofeo per la categoria “Miglior Caos Organizzato”. Fissare le date dell’ultima giornata è stato come decifrare un geroglifico con una lente d’ingrandimento rotta. Napoli voleva giocare di sabato per organizzare caroselli fino a Natale, l’Inter spingeva per giovedì per avere un giorno in più prima della Champions. Alla fine, la Lega ha partorito un compromesso degno di un negoziato ONU: venerdì 23 maggio, ore 20:45, Napoli-Cagliari e Como-Inter in contemporanea, con lo spareggio fissato per lunedì 26. Ezio Simonelli, presidente della Lega, ha sentenziato: “Vogliamo equità e spettacolo”. Tradotto: “Non sappiamo più a chi chiedere aiuto”. I tifosi, nel frattempo, sono in modalità crociata: a Napoli si pianificano pellegrinaggi per chiedere aiuto a San Gennaro, a Milano si consultano astrologi per sapere se la luna o Saturno sono dalla loro parte.
Chi si porta a casa questo scudetto? Il Napoli ha la pole position, ma la sua abilità nel trasformarsi in una sitcom tragicomica è da standing ovation. L’Inter, invece, deve vedersela con un Como che potrebbe scendere in campo come se stesse difendendo l’onore dell’umanità, mentre prega per un implosione partenopea degna di un blockbuster apocalittico. Lo spareggio? Una minaccia che aleggia come un fulmine in una notte senza stelle, pronto a colpire. Questo titolo si deciderà su un pallone traditore che schizza via, un fischio arbitrale che scatena guerre sante, o un colpo di genio di qualcuno che sceglie il momento peggiore per improvvisarsi divo. Conte contro Inzaghi, Lukaku contro Lautaro, Napoli contro Milano: non è una partita, è un duello da tragedia shakespeariana, ma con più urla e meno pugnali. E mentre il cronometro ticchetta verso il 90’, ogni passaggio, ogni contrasto, ogni respiro trattiene una nazione intera, sospesa sul bordo di un precipizio, con il destino che ghigna nell’ombra, pronto a scrivere l’ultimo, spietato capitolo di questa saga.
