Coppa Italia, Milan-Bologna: il gran circo delle illusioni all’Olimpico

Domani, lo Stadio Olimpico di Roma si travestirà da arena per ospitare la finale di Coppa Italia tra Milan e Bologna, uno spettacolo che promette più colpi di scena di una soap opera venezuelana e più drammi di un’assemblea condominiale. Due squadre che si presenteranno con l’arroganza di chi si crede predestinato e la grazia di un elefante che balla il tip-tap su un pavimento di cristallo. Il calcio italiano, con il suo cocktail di proclami altisonanti e figuracce planetarie, sta per regalarci una serata che sarà leggendaria. O un disastro da seppellire sotto tre metri di vergogna, a seconda di chi tifi.

Il Milan: il divo che si specchia e inciampa sul suo ego

Il Milan, la squadra che si pavoneggia come il Brad Pitt del calcio europeo, ma che in questa stagione sembra più un attore di televendite notturne, con il sorriso finto e il prodotto che non funziona. Sotto la guida di Sergio Conceição, i rossoneri hanno vissuto un 2024/25 che definire schizofrenico è come dire che il Colosseo ha un problemino di manutenzione. Hanno alzato la Supercoppa Italiana a gennaio, battendo l’Inter in un derby che ha fatto urlare di gioia i tifosi e ha illuso tutti che il Diavolo fosse tornato. Spoiler: era solo un fuoco di paglia. Nono posto in Serie A, fuori dalla Champions League contro un Feyenoord che sembrava più un gruppo di amici in un pub di Rotterdam che una squadra di calcio, e un gioco che alterna momenti di ispirazione a disastri che farebbero ridere anche un monaco tibetano.

Punti di forza: Quando il Milan si ricorda di essere una squadra di calcio e non un circo equestre, può far male. Christian Pulisic, con i suoi 17 gol stagionali, è il Mago Houdini di Milanello: trasforma passaggi sbagliati in gol da cineteca e fa sembrare i compagni meno scarsi di quello che sono. Santiago Giménez, arrivato a gennaio con l’etichetta di “promessa messicana” e un’espressione da telenovela, ha iniziato a segnare, come dimostrato dalla su2 doppietta contro il Bologna pochi giorni fa (3-1 al San Siro, tanto per gradire). E poi c’è Luka Jovic, che ogni tanto si sveglia dal suo letargo e ricorda al mondo che, sì, è un attaccante e non un figurante di un reality serbo. Il 3-4-2-1 di Conceição, quando funziona, dà un po’ di pepe a una squadra che altrimenti sembra un’orchestra diretta da un gatto ubriaco.

Punti deboli: Da dove cominciamo, cari rossoneri? La difesa del Milan è un disastro che farebbe impallidire un ingegnere della Salerno-Reggio Calabria in un giorno di pioggia. Fikayo Tomori, ancora frastornato da un colpo alla testa contro il Bologna, sembra giocare con un casco da cantiere e la concentrazione di un influencer a un brunch. Strahinja Pavlović alterna interventi da gladiatore a errori che sembrano usciti da un film di Fantozzi. In porta, Mike Maignan è un fenomeno, ma anche lui non può parare le figuracce dei compagni. Il centrocampo? Ruben Loftus-Cheek e Tijjani Reijnders brillano come una lampadina da 20 watt in un blackout: ogni tanto fanno luce, ma non abbastanza. E poi c’è l’assenza di Rafael Leão, squalificato per la finale: senza di lui, il Milan perde quel guizzo che trasforma una partita noiosa in un reel da Instagram. Dulcis in fundo, Conceição: un allenatore che alterna momenti di genio a scelte tattiche che sembrano pescate da un cappello da mago, e non di quelli bravi. Una sconfitta domani potrebbe essere il suo biglietto per un volo low-cost direzione esonero.

Il Bologna: l’eterna Cenerentola che sogna il ballo (e inciampa sulla zucca)

Passiamo al Bologna, la squadra che vive in un eterno “quasi” come un adolescente che sogna di baciare la più bella della scuola ma finisce sempre in friendzone. Sotto Vincenzo Italiano, i rossoblù hanno avuto una stagione che è un inno al “potevamo fare di più”. Settimo posto in Serie A con 62 punti (due in più del Milan, tanto per far rosicare i rossoneri), ritorno in Champions League dopo 60 anni, e una cavalcata in Coppa Italia che sembra scritta da un regista sadico: Monza polverizzato 4-0, Atalanta stesa con un gol di Santiago Castro, e un Empoli travolto 5-1 in semifinale come se fosse una squadra di amici al calcetto del giovedì. Ma attenzione: il Bologna di Italiano è come una Fiat Panda d’epoca, affascinante finché non ti lascia a piedi in mezzo all’autostrada.

Punti di forza: Riccardo Orsolini è il reuccio di questa squadra, un’ala che segna (12 gol in Serie A) e crea scompiglio con la disinvoltura di un vandalo in un museo. Thijs Dallinga, centravanti olandese, è una sorpresa che sa di tulipano fresco, con un fiuto per il gol che farebbe invidia a un segugio. In difesa, Jhon Lucumí e Sam Beukema sono più solidi di un bunker svizzero, mentre il centrocampo, con Remo Freuler e Giovanni Fabbian, ha l’energia di un rave party anni ’90. Italiano, poi, è un maestro nel preparare le partite: la sua squadra pressa alta, gioca con intensità e, quando è in giornata, sembra un’orchestra che suona Beethoven. La vittoria per 1-0 contro l’Inter in campionato dimostra che il Bologna può affrontare i grandi palcoscenici senza svenire.

Punti deboli: Ma non facciamoci illusioni, cari felsinei. Il Bologna ha più scheletri nell’armadio di un film di Tim Burton. La dipendenza da Orsolini è patologica: se l’ala destra ha una giornata no, i rossoblù sembrano un esercito senza bussola, che vaga nel deserto con una borraccia vuota. L’attacco, poi, è più incostante di un meteo di marzo: Dallinga segna, ma spesso sparisce come un turista in un vicolo di Napoli, e Santiago Castro, pur promettente, non è ancora il bomber che Italiano sogna. In trasferta, il Bologna è fragile come un bicchiere di Murano: due sconfitte e un pareggio nelle ultime tre uscite lontano dal Dall’Ara non sono esattamente un biglietto da visita per una finale a Roma. E poi c’è Italiano, il re delle finali perse: tre ko in tre anni con la Fiorentina (due in Conference League e una in Coppa Italia). Se esistesse un’Oscar per il “miglior perdente”, Vincenzo lo avrebbe già in bacheca, con tanto di discorso strappalacrime.

Il precedente: un antipasto che sa di vendetta (o di indigestione)

Pochi giorni fa, il Milan ha battuto il Bologna 3-1 in Serie A, in una partita che sembrava un trailer girato male di questa finale. Orsolini aveva illuso i rossoblù con un gol da standing ovation, ma poi Pulisic e Giménez hanno ribaltato tutto, ricordando al mondo che il Milan, quando vuole, sa essere più cinico di un commercialista a fine anno. Quel match ha messo a nudo le anime di entrambe: il Bologna crea, incanta, poi si spegne come una candela in un uragano; il Milan soffre, barcolla, ma ha quel guizzo da serial killer che trasforma un’azione qualunque in un gol. Domani, però, sarà un’altra storia: una finale è un mostro a parte, dove la tattica va a farsi benedire e la pressione può trasformare un campione in un disastro ambulante.

Il pronostico: chi alzerà la Coppa (o la figura barbina)?

Prevedere l’esito di questa finale è come indovinare il finale di un film di Lynch: confuso, imprevedibile e probabilmente qualcuno ci rimarrà male. Il Milan parte favorito, perché ha Pulisic, un po’ di esperienza e quella fortuna sfacciata che serve per vincere le finali immeritate. Il Bologna, però, ha fame, un allenatore che sa preparare le battaglie (anche se poi le perde) e l’entusiasmo di chi non ha niente da perdere. La chiave sarà il centrocampo: se Freuler e Fabbian domineranno, il Bologna potrà sognare; se Reijnders e Loftus-Cheek si ricorderanno di essere calciatori, il Milan avrà la meglio. E poi c’è il duello Conceição-Italiano: due allenatori che si giocano la panchina, la dignità e forse anche il diritto di sedersi al bar senza essere fischiati.

Diciamo che il Milan potrebbe anche vincere, perché i rossoneri hanno quel pizzico di “fortuna immeritata” che trasforma una squadra mediocre in campioni per una notte. Ma non stupitevi se il Bologna, con un colpo di coda, riscriverà la storia e manderà in tilt i sogni milanisti. In fondo, il calcio italiano è questo: un luna park dove i leoni ruggiscono, ma a volte sono le gazzelle a rubare la scena.

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