La Fiorentina ha deciso di regalare al mondo una performance calcistica degna di un film di Paolo Villaggio. Non un kolossal epico, sia chiaro, ma una di quelle pellicole dove il ragionier Ugo Fantozzi inciampa, cade, si rialza e poi ricade, trascinando con sé ogni speranza di dignità. La sconfitta per 2-1 contro il Venezia, una squadra che sembra avere un piede in Serie B e l’altro in un documentario su come non giocare a calcio, non è solo una partita persa: è un manifesto di autolesionismo sportivo, una sinfonia di errori degna di un film di Totò senza il lieto fine.
I Viola di Raffaele Palladino arrivano al Penzo di Venezia con il petto sgonfio, dopo l’eliminazione dalla Conference League. Sette punti in quattro partite, una difesa che sembra non assomigliare ad un bunker antiatomico e un attacco che, pur non essendo quello del Real Madrid, almeno qualche gol lo butta dentro. Dall’altra parte, il Venezia: una squadra che, con tutto il rispetto, sembra assemblata con i pezzi di ricambio di un mercatino dell’usato. Retrocessione scritta in fronte, gioco che ricorda più una partita di calcetto tra amici dopo tre birre, e un morale che farebbe invidia a un depresso cronico. Insomma, sulla carta, una passeggiata di salute per i viola. E invece, preparatevi al colpo di scena: la Fiorentina decide di trasformare questa partita in un’odissea tragicomica, un’Odissea nello spazio calcistico dove l’unica cosa che si perde è la faccia.
Il Venezia, guidato da un Eusebio Di Francesco che sembra più un professore di filosofia prestato al calcio, non ha nulla da perdere. E quando non hai nulla da perdere, puoi permetterti di tutto, persino di vincere contro una Fiorentina che, per l’occasione, decide di giocare come se fosse in modalità “risparmio energetico”. Al 60esimo, Cande approfitta di un’ingenuità difensiva viola e mette dentro il suo primo gol in Serie A: 1-0. La Curva del Penzo, che fino a quel momento sembrava più interessata a discutere del prezzo del prosecco, esplode in un boato che sa di miracolo. La Fiorentina, invece, reagisce come un impiegato richiamato dal capo il lunedì mattina: svogliata, confusa, con l’aria di chi vorrebbe essere altrove.
Ma il meglio deve ancora venire. Perché, quando tutti si aspettano la rimonta viola, arriva il colpo di grazia. Minuto 68: Oristanio, un attaccante che finora aveva segnato più selfie su Instagram che gol in campionato, fa 2-0. A quel punto, il Penzo diventa il Colosseo, con i tifosi veneziani che inneggiano ai loro gladiatori e i viola che sembrano più gladioli appassiti. La rete del solito Mandragora al 77esimo è solo un cerotto su una ferita che sanguina autostima: troppo poco, troppo tardi.
Ma cosa è successo, esattamente? Come ha fatto una squadra che sembrava pronta a spiccare il volo a schiantarsi contro il muro di una neopromossa in crisi nera? La risposta, è semplice: la Fiorentina ha deciso di rispolverare il suo lato più masochista, quello che ogni tanto emerge per ricordarci che il calcio non è una scienza esatta, ma un circo dove i pagliacci a volte indossano la maglia viola. La difesa sembrava un gruppo di amici che si ritrova per una rimpatriata e si dimentica come si gioca. Pongracic, che di solito è un muro, oggi era più un muretto di cartongesso. Marì, invece, ha interpretato il ruolo del turista distratto, quello che si perde a guardare le gondole mentre l’avversario gli scappa via.
E poi c’è il centrocampo, o meglio, quel vuoto cosmico che si è spacciato per centrocampo. Fagioli, che dovrebbe essere il metronomo, sembrava un orologio rotto fermo sulle 12. Ndour, talento cristallino ma fragile come un bicchiere di Murano, ha vagato per il campo come un poeta in cerca di ispirazione, senza mai trovarla. Davanti, Beltran ha fatto quello che poteva, ma quando i palloni arrivano col contagocce e i compagni sembrano giocare a “chi sbaglia di più”, e lui ha potuto solo alzare le braccia al cielo e imprecare.
Raffaele Palladino è sembrato un vulcano spento. In conferenza stampa, il tecnico ha provato a mettere una pezza: “Abbiamo sbagliato approccio, non siamo stati incisivi, dobbiamo lavorare sugli errori”. Traduzione: “Ragazzi, abbiamo fatto una figura barbina, ma tranquilli, ci rialzeremo”. Il problema è che i tifosi della Fiorentina cominciano a chiedersi se questo progetto abbia un futuro o se sia destinato a rimanere un eterno “work in progress”. Perché una cosa è perdere contro la Roma, un’altra è uscire con le ossa rotte dal Penzo, un campo che sembra più adatto a una regata che a una partita di Serie A.
Il calcio, questo meraviglioso disastro
E così, mentre il Venezia festeggia come se avesse vinto la Champions, la Fiorentina torna a Firenze con la coda tra le gambe e un bel po’ di domande da porsi. I tifosi, che pure sono abituati alle montagne russe emotive, stavolta hanno il diritto di essere incavolati neri. Perché perdere a Venezia non è solo una sconfitta: è un affronto, un insulto alla storia di una squadra che merita di più. E allora, caro Palladino, caro Commisso, cari giocatori, fateci un favore: la prossima volta che scendete in campo, ricordatevi che la maglia viola non è un pigiama per andare a dormire, ma un simbolo che va onorato. Altrimenti, preparatevi a un’altra recensione al vetriolo, perché qui, non facciamo sconti a nessuno.
Cari tifosi, la prossima volta che la Fiorentina gioca contro una squadra con un piede in Serie B, spegnete la tv e andate a rileggere Dante. Almeno lui, con la sua Divina Commedia, vi risparmierà l’Inferno di una partita come questa.
