Venezia, la città delle cartoline sdolcinate, dei ponti da selfie e delle gondole che costano più di un mutuo, si prepara ad accogliere la Fiorentina per la 36esima giornata di Serie A. I viola arrivano al Penzo con l’entusiasmo di chi ha appena ricevuto una bolletta a sorpresa, freschi dell’ennesima delusione europea: un 4-3 complessivo in semifinale di Conference League contro il Betis che brucia come un piatto di paella dimenticato sul fuoco. La squadra di Palladino, con lo sguardo perso di chi cerca ancora il biglietto per l’Europa in fondo a un cassetto, si presenta a questa trasferta come un attore costretto a recitare in una commedia di quart’ordine.
La Conference, ovvero “Come Farsi Male in Due Atti”
La Conference League era l’ossessione viola, il trofeo che avrebbe dovuto riscattare anni di “quasi” e finali perse. Dopo due tentativi falliti, i tifosi ci credevano davvero, come chi scommette sull’ennesimo cavallo zoppo all’ippodromo. Ma il Betis ha detto no, grazie, e ha spedito la Fiorentina a casa con la grazia di un buttafuori all’ingresso di una discoteca esclusiva. Due partite, un barlume di speranza, e poi il tracollo, con i viola che sembravano più confusi di un turista che cerca Piazza San Marco con una mappa al contrario. Il presidente Commisso, narra la leggenda tramite il d.g. Ferrari, ha chiamato subito dopo il disastro, forse per chiedere se qualcuno avesse lasciato il sogno europeo in un bar di Siviglia. “Siamo tutti delusi,” ha detto Ferrari, con l’energia di chi legge le previsioni del tempo in un giorno di diluvio. E meno male, caro Alessandro, che non avete festeggiato con i fuochi d’artificio!
Ora la Fiorentina si trascina a Venezia, contro una squadra che lotta per la salvezza con la disperazione di chi ha appena scoperto che il bancomat è vuoto e il frigo pure. I lagunari, terzultimi, sono a un punto dal Lecce e affrontano ogni partita come se fosse l’ultima scena di un film apocalittico. I viola, invece, vagano in quella terra di nessuno che i poeti chiamano “stagione anonima”: troppo lontani dalla Champions, troppo vicini alla zona “ma perché giochiamo ancora?”. L’obiettivo? Un posto in Europa League o, beffa delle beffe, in quella Conference che ormai sembra un ex che ti manda messaggi solo per farti arrabbiare. Ma per arrivarci serve continuità, una parola che a Firenze è più introvabile di un parcheggio libero in centro.
Venezia-Fiorentina: Il Gran Galà del “Chi Soffre di Più?”
La scena è pronta: da una parte il Venezia di Di Francesco, che tenta l’impossibile con una rosa che sembra pescata a caso da un mercatino di fine stagione. Radu in porta, che ogni tanto sembra distratto come se stesse controllando le notifiche su Instagram. Candé, Idzes e Schingtienne in difesa, un trio che suona più come lo studio legale di un telefilm che come una barriera impenetrabile. In attacco, Yeboah e Gytkjaer, una coppia che potrebbe debuttare in una sitcom piuttosto che in una partita di Serie A. A centrocampo, Nicolussi Caviglia, che sembra sempre sul punto di mandare un WhatsApp alla Juve per chiedere se può tornare a casa.
Dall’altra parte, la Fiorentina di Palladino, che deve scegliere se scendere in campo con la grinta di chi vuole riscatto o con la rassegnazione di chi ha già prenotato una vacanza low-cost per dimenticare tutto. Mandragora, il presunto architetto del centrocampo, è in dubbio per un problema muscolare: se non gioca, preparatevi a un reparto centrale con meno ritmo di un’orchestra senza direttore. In attacco, Kean, appena rientrato, è l’unico che sembra avere un po’ di fuoco negli occhi, mentre Beltran, che dovrebbe illuminare il gioco, ultimamente sembra più un lampione guasto. E poi c’è Zaniolo, l’enigma umano: un giorno cerca di convincerti che può vincere il Pallone d’Oro, il giorno dopo ti chiedi se non sia meglio mandarlo a fare il modello per le foto coi turisti.
Come affrontare questa trasferta, allora? Con un sorriso al vetriolo e la consapevolezza che tifare Fiorentina è come iscriversi a un corso di yoga estremo: ti pieghi, soffri, ma alla fine impari a respirare. La partita di lunedì (ore 18:30, perché ovviamente non poteva essere in un orario decente) sarà un test di sopravvivenza. Il Venezia si chiuderà come una cassetta di sicurezza, mentre la Fiorentina proverà a sfondare con la delicatezza di un caterpillar guidato da un principiante. Se i viola vincono, possono ancora sognare l’Europa; se perdono, beh, c’è sempre il prossimo anno, una frase che a Firenze è più sacra di un piatto di ribollita.
Palladino, arrivato con l’aura del “Guardiola de noantri”, dovrà trovare le parole per scuotere una squadra che sembra reduce da una maratona di film drammatici. Immaginiamolo negli spogliatoi: “Ragazzi, il Betis ci ha disintegrati, ma oggi possiamo battere una squadra che lotta per non retrocedere! Dai, che l’Europa è lì… forse!”. I tifosi, con sciarpe al collo e coronarie al limite, si preparano a un’altra serata di emozioni forti, tra improperi all’arbitro e speranze che De Gea non decida di regalare un gol come souvenir alla laguna.
Venezia, lo Specchio dei Viola
Venezia è la metafora perfetta per questa Fiorentina: affascinante, fragile, sempre a un passo dal collasso ma con una testardaggine che sfiora l’eroismo. I viola hanno il talento per vincere, ma anche il vizio di perdersi nei propri labirinti, come un turista che segue un cartello scritto a mano. Il Venezia, invece, gioca con la libertà di chi non ha nulla da perdere: Di Francesco in panchina sembra pronto a entrare in campo pur di salvare la baracca, e i tifosi credono nei miracoli più di chi accende ceri in cattedrale.
Che partita sarà? Un caos organizzato, con la Fiorentina che proverà a imporre il suo gioco e il Venezia che risponderà con la tenacia di chi sa che la Serie B è a un passo. E noi, come sempre, saremo lì, a soffrire, ridere e imprecare, perché tifare Viola non è una scelta, è una condanna. Perché, “la Fiorentina non ti regala trofei, ma ti insegna a convivere col dolore”. E quindi, “forza Viola, ma per carità, non fateci fare altre figure da turisti spaesati”.
