E così, ci risiamo. L’Inter si prepara a danzare il tango della semifinale di ritorno di Champions League contro un Barcellona che sembra uscito da un laboratorio di ingegneria calcistica, dove hanno mischiato DNA di alieni, poeti e influencer di Instagram. Dopo il 3-3 dell’andata al Montjuïc, un match che pareva scritto da un drammaturgo con un serio problema di gestione dello stress, stasera, San Siro si trasforma in un’arena dove i nerazzurri proveranno a non fare la figura dei dilettanti in un talent show. Preparate i popcorn e naturalmente un defibrillatore.
Torniamo un attimo al match di andata. L’Inter, fresca di una settimana da incubo che farebbe sembrare il Titanic una crociera low-cost, si presenta a Barcellona con l’entusiasmo di chi deve fare un esame senza aver studiato. E cosa combina? Una prestazione che è un cocktail di genio, follia e autolesionismo puro. Thuram tira fuori un tacco che sembra un’opera d’arte rubata al Louvre, Dumfries decide di essere Maradona per una sera e segna una doppietta, mentre Sommer, non contento di parare l’impossibile, regala un autogol che ha mandato in visibilio i meme di mezza Milano. Il Barcellona? Fanno il solito show da “siamo i migliori e lo sappiamo”: Lamine Yamal, che a 17 anni ha già la sfacciataggine di un divo hollywoodiano, Raphinha che corre come se avesse un razzo legato alla schiena, e Pedri che col pallone sembra dipingere un affresco rinascimentale. Risultato? Un 3-3 che sa di miracolo, ma con Lautaro Martinez che, con un tempismo degno di un comico di Zelig, si stira un flessore. Complimenti, Toro, hai scelto proprio il momento perfetto per farti un pisolino in infermeria.
San Siro, il catino e il peso delle illusioni
Stasera, San Siro sarà un calderone di urla, speranze e improperi trattenuti a stento, con 75 mila tifosi pronti a spingere l’Inter verso la finale del 31 maggio o, più probabilmente, a ordinare una cassa di camomilla per smaltire la delusione. L’Inter in casa è una specie di supereroe con la maglia a strisce: ha fatto a pezzi il Bayern Monaco ai quarti (2-1 all’Allianz, 2-2 a Milano, con Müller che ancora cerca il suo orgoglio), ha ridotto il Feyenoord a un ricordo sbiadito agli ottavi e ha regalato alla Stella Rossa un 4-0 che a Belgrado raccontano come una favola horror. Ma, attenzione, il Barcellona non è la Stella Rossa. È una squadra che gioca come se il calcio fosse una forma di meditazione trascendentale, con Hansi Flick che dirige il tutto con l’aria di chi ha già prenotato il tavolo per la festa post-finale. Il loro attacco? Una macchina da gol: Yamal, Raphinha, Ferran Torres e quel Lewandowski che, a 36 anni, sembra ancora il cattivo di un film d’azione che non muore mai. E poi c’è Pedri, che con un pallone tra i piedi sembra un poeta che scrive sonetti, e De Jong, che in mezzo al campo comanda con la calma di un lord inglese che sorseggia tè.
L’Inter, però, non è tipo da inchinarsi. O almeno, speriamo. Simone Inzaghi, l’uomo che mantiene la calma mentre dentro di lui infuria una tempesta degna di un film di Nolan, ha preparato il match con la solita aria da “tutto sotto controllo”, anche se probabilmente sta già calcolando quante Ave Maria servono per passare il turno. La formazione? Sommer in porta (e se fa un altro autogol, giuro, lo spediamo a fare il portiere di pallamano), difesa con Bisseck, Acerbi e Bastoni, che dovranno essere più blindati di un caveau svizzero, e un centrocampo dove Çalhanoğlu e Barella correranno come se fossero inseguiti da un esattore delle tasse. Davanti, con Lautaro, tocca a Thuram e, forse, anche a Taremi, che potrebbe essere la sorpresa della serata. Oppure no, e ci toccherà affidarci a San Dumfries, che non è esattamente il patrono delle certezze.
Il calcio, ovvero l’arte di prendersi in giro
Da osservatore esterno che idolatra il calcio come si venera un quadro di Caravaggio, questa partita è una delizia per palati sopraffini. L’Inter, con il suo caos organizzato e la sua capacità di passare dall’estasi al disastro in un battito di ciglia, è il perfetto contraltare a un Barcellona che sembra uscito da un corso di perfezione con tanto di diploma incorniciato. San Siro, con la sua bolgia di passione e disperazione, è il palcoscenico ideale per una serata che potrebbe essere un inno al gioco più bello del mondo o una commedia degli errori degna di un film di serie B. Qui non si tratta solo di tattica o talento, ma di quella magia perversa che rende il calcio irresistibile: la capacità di farti credere in un miracolo e poi schiantarti con un errore di Sommer che ti fa rimpiangere di non tifare per il curling.
Questa non è una partita, è un trattato filosofico mascherato da 90 minuti di sudore e urla. L’Inter, con la sua miscela di cuore, follia e disastri annunciati, affronta un Barcellona che sembra aver letto il manuale del calcio perfetto e averlo imparato a memoria. San Siro sarà il coro di questa tragedia greca, con i suoi attori pronti a esaltarsi o a maledire il destino. Il calcio è questo: un’illusione che ti fa sognare l’impossibile. Che il sipario si alzi, e che il pallone faccia il suo lavoro: deludere, esaltare, e ricordarci perché amiamo questo gioco bastardo.
