Se il calcio fosse un’orchestra, la Fiorentina sarebbe quella banda che arriva con gli strumenti scordati, il direttore in ritardo e un clarinetto che suona per conto suo, eppure, chissà come, tira fuori una melodia che ti resta in testa. A Celje, Slovenia – un posto che sembra il nome di un integratore vitaminico da farmacia di provincia – i viola hanno imbastito un 2-1 contro il leggendario Cejle, nella gara d’andata dei quarti di Conference League. Non è stata una vittoria da incorniciare, ma una di quelle che appendi al frigo con una calamita sbeccata, perché, in fondo, è pur sempre una vittoria, e con la Fiorentina non si sa mai quando ricapita.
Il sipario si alza su uno stadio che potrebbe essere il set di un film indipendente con budget zero, e il Cejle – un nome che sembra il risultato di un gatto che cammina sulla tastiera – si presenta con l’ardore di chi pensa che la Conference League sia la sua Woodstock. La Fiorentina, invece, fa il suo ingresso con la noncuranza di chi ha perso il copione, la bussola e forse anche la voglia, ma scommette tutto su un’alzata di spalle e un colpo di fortuna. I primi minuti sono un’ode alla noia burocratica: i viola tengono palla come un impiegato che sposta carte senza sapere perché, mentre gli sloveni provano a pungere con la ferocia di un chihuahua che abbaia al postino.
Poi, al 27’, accade l’inimmaginabile, e no, non è un gol del Cejle. Quando il ritmo della gara sembra quello di un documentario sui funghi, Luca Ranieri decide che è ora di prendersi la scena. Non contento di essere un difensore con il carisma offensivo di una calcolatrice, si inventa un’azione che è un insulto alla logica tattica: parte sulla sinistra come un lupo solitario in cerca di gloria, dribbla un paio di sloveni che lo guardano come si guarda un UFO, e scaglia un tiro a fil di palo che bacia la rete con la precisione di un cecchino e l’arroganza di chi sa che non lo rifarà mai più. 1-0. I tifosi viola esultano, ma con quel sorrisetto sghembo che dice: “Ok, ora ci fanno gol, vero?”. Non subito, calma, c’è ancora tempo.
Il primo tempo si trascina con la verve di una lezione di algebra alle otto del mattino: la Fiorentina controlla, il Cejle balbetta, e David de Gea in porta sembra un fisico nucleare costretto a fare cruciverba per bambini – troppo talento per questo circo, ma tant’è. Si va al riposo con quel vantaggio risicato, e Palladino, negli spogliatoi, avrà sicuramente dispensato massime tipo: “Bravi, ma non fate i furbi, che poi ci tocca soffrire”. E indovinate un po’? Aveva ragione.
Il secondo tempo è dove la Fiorentina rispolvera il suo talento per trasformare una passeggiata in un giro sulle montagne russe con le cinture slacciate. Al 62’, Rolando Mandragora – un centrocampista che segna con la frequenza di un temporale nel Sahara – si inventa un rigore e lo trasforma con la freddezza di chi paga il parcheggio sapendo che tanto la multa arriva lo stesso. 2-0, e per un nanosecondo si intravede la possibilità di una serata tranquilla. Illusione da principianti. Al 67’, Nikola Pongračić, con la munificenza di un parente che ti regala un maglione orrendo a Natale, confeziona un rigore per il Cejle: fallo inutile, quasi artistico nella sua stupidità. Delaurier-Chaubet – un nome che sembra un cocktail dimenticato in un bar di periferia – non si fa pregare e accorcia: 2-1.
Da lì in poi, è una partita che sembra un film di serie B diretto da un regista con la febbre: tensione, ma senza esagerare, perché la Fiorentina sa che il vero dramma è al ritorno. Il Cejle ci prova con la convinzione di un venditore di enciclopedie nell’era di internet, mentre i viola si chiudono con la grazia di un baule pieno di cianfrusaglie: non è elegante, ma regge. De Gea para il minimo sindacale, e il triplice fischio arriva come una mail di conferma che il pacco è stato consegnato. 2-1, tre punti in saccoccia, e un sospiro che sa di caffè freddo ma bevibile.
Palladino, dalla panchina, dirige con la calma di chi sa che ogni partita è una lotteria truccata, ma stavolta il biglietto era quello giusto.
E così, il sipario cala su questo 2-1, un risultato che la Fiorentina incassa con la soddisfazione di chi trova un parcheggio libero in centro, ma con la consapevolezza che potrebbe essere una trappola per disabili. Ranieri e Mandragora, eroi improbabili di una serata che sembrava destinata al dimenticatoio, si godono il loro momento di gloria, mentre Pongračić probabilmente sta ancora cercando di capire come trasformare un rigore regalato in un’opera d’arte concettuale. Palladino, dalla sua panchina, si limita a un mezzo sorriso, quello di chi sa che ha vinto la battaglia ma la guerra è un’altra cosa, e con questa squadra ogni partita è come giocare a scacchi con un piccione: vincerai, ma non senza un po’ di disordine.
Il tifoso viola, come da tradizione, è già con un piede nel futuro e l’altro nella terapia intensiva: “Ok, ma al Franchi che disastro ci aspetta?”. Domanda lecita, perché questa squadra è un eterno gioco di prestigio, capace di tirare fuori un coniglio dal cilindro o di far sparire il cilindro stesso, lasciandoci con un pugno di mosche e un’espressione da “ve l’avevo detto”. La Conference League è lì, a portata di mano, ma con la Fiorentina è come afferrare un’anguilla: possibile, sì, ma preparati a scivolare. Per ora, alziamo un calice a questo 2-1, un risultato che è come un panino preso al volo in autogrill: non sarà gourmet, ma ti salva la giornata. Alla prossima, viola, e per l’amor del cielo: continuate a vincere, ma senza trasformare ogni partita in un provino per un film di Hitchcock. Abbiamo solo un cuore e il nostro medico di base ha già abbastanza pazienti.
