Fiorentina-Celje: un quarto di finale da prendere con le pinze

La Fiorentina si lancia nei quarti di finale di Conference League con l’entusiasmo di chi scommette tutto su un numero alla roulette, sperando che la pallina non finisca sullo zero. Ad attenderla c’è il Celje, un nome sloveno che potrebbe essere scambiato per un detersivo di seconda scelta, ma che si presenta al doppio confronto con la sfacciataggine di chi sa che il calcio non è una questione di pedigree. Per i viola, reduci da un cammino europeo che sembra un giro in giostra con il freno a mano tirato, questa è la classica partita-trappola: vinci e sei un genio, perdi e ti ritrovi a spiegare ai tifosi perché hai fatto harakiri contro una squadra che sembra uscita da un torneo aziendale.

Contro il Panathinaikos, negli ottavi, è andata in scena una vittoria al ritorno per 3-1 che sembrava un’epopea mitologica rivisitata sotto un acquazzone, con Gudmundsson e Mandragora a fare i fenomeni e i greci a salutare con un gol che sembrava un biglietto di scuse scritto col pennarello scarico. Una vittoria che ha dimostrato carattere, sì, ma anche quella tendenza tutta fiorentina a trasformare una passeggiata in un’odissea: perché vincere facile, a Firenze, è considerato volgare quanto presentarsi al Franchi con la sciarpa della Juve. Ora, però, il passato è un lusso che non serve rivangare: c’è il Celje, e sottovalutarlo sarebbe come lasciare il portafoglio sul tavolo in un bar di periferia.

Parliamo di questi sloveni, che non saranno la crème de la crème del calcio europeo ma hanno già fatto vedere che sanno rovinare la giornata a chi li prende sottogamba. Negli ottavi hanno mandato a casa il Lugano ai rigori, dopo un 5-4 al ritorno che sembrava una partita di calcetto tra amici con troppo ego e poco fiato. Non stiamo parlando del Real Madrid, sia chiaro, ma di una squadra che mischia ordine tattico e una dose di faccia tosta che potrebbe mandare in tilt la Fiorentina più velocemente di un blackout al VAR. Seslar e Svetlin sono i nomi da cerchiare in rosso, non perché siano fenomeni da Pallone d’Oro, ma perché hanno quel vizio di punire chi si distrae a contare le stelle. Per i viola, abituati a regalarsi autogol emotivi nei momenti meno opportuni, il rischio è concreto: affrontare il Celje come un’amichevole estiva potrebbe trasformarsi in una figuraccia da far impallidire anche i più stoici della Fiesole.

Raffaele Palladino, sa che qui non si scherza. “Massima attenzione, niente cali di tensione”, avrà sibilato ai suoi, probabilmente con quel tono che ti fa venire i brividi anche se stai solo portando il caffè. La sua gestione ha portato la Fiorentina a navigare il girone unico con la sicurezza di un terzo posto che vale l’accesso diretto agli ottavi, e a superare il Panathinaikos con un mix di qualità e sudore. Ma il Celje è un altro animale: non ha il fascino di un big match, ma proprio per questo è il tipo di avversario che ti frega mentre sei ancora a lucidarti le scarpe per la semifinale. In una Conference League dal format contorto come un puzzle lasciato a metà, ogni passo falso è un biglietto di ritorno a casa, e Palladino non ha nessuna intenzione di fare il turista in Slovenia.

Il tabellone, già che ci siamo, è un capolavoro crudele. Da una parte il Chelsea avanza come un carrarmato con l’autista in smoking, pronto a triturare il Legia Varsavia senza nemmeno sgualcirsi la cravatta; dall’altra la Fiorentina, infilata in un angolo di onesti mestieranti del pallone come Betis e Jagiellonia. Una semifinale contro gli spagnoli è lì, a un tiro di schioppo, ma con i viola è meglio non fare castelli in aria: sono capaci di costruirsi una reggia e poi dimenticarsi di chiudere la porta, lasciando entrare il primo ladro di passaggio. Due finali perse di fila in Conference League sono un fardello che pesa come un mutuo a tasso variabile, e i tifosi sognano un trofeo che non sia la medaglia di partecipazione al “bravi, ma non basta”.

Sul campo, la Fiorentina ha le carte per fare male. Kean è in uno stato di grazia che lo fa sembrare un alieno prestato al calcio, Mandragora ha finalmente capito che la porta non è un miraggio, e la difesa, quando non si perde in contemplazioni filosofiche, tiene botta. Il Celje, invece, punta su una struttura solida e su un cinismo da squadra che non ha niente da perdere: non ti assedierà, ma ti punirà al primo sbadiglio. La sfida sarà una questione di testa: i viola devono evitare quei blackout che li trasformano da leoni a gattini spauriti nel giro di un amen. Un gol subito al 5° minuto e il Franchi potrebbe diventare più silenzioso di una biblioteca durante gli esami, con i tifosi a chiedersi perché il destino abbia sempre la mira di un cecchino quando si tratta di colpire Firenze.

La ricetta per uscirne vivi è semplice sulla carta, ma complicata per una squadra che ama flirtare col disastro: ordine tattico, pressing alto e una spolverata di cattiveria che a volte manca più del pane senza sale in un ristorante trendy. L’andata in Slovenia sarà un western a basso budget: campo ostile, pubblico che urla in una lingua che sembra un codice fiscale, e un Celje che proverà a fare lo sgambetto con la grazia di un bisonte. Il ritorno al Franchi, con la bolgia viola a spingere, potrebbe essere la chiave, ma solo se i gigliati non si presenteranno con un risultato già compromesso.

L’obiettivo è chiaro: andare avanti, magari fino a una finale contro il Chelsea che sarebbe il sogno di ogni tifoso viola con un briciolo di masochismo. Ma prima c’è il Celje, e trattarlo come una pratica da sbrigare in fretta sarebbe come firmare un assegno in bianco a un venditore porta a porta. La Fiorentina ha talento, esperienza e un allenatore che sta dimostrando di sapere il fatto suo: ora serve la prova dei fatti. I tifosi sono pronti, con la voce roca e il cuore in gola, a spingere la squadra verso qualcosa di grande. Basta che non finisca con un altro “ci siamo andati vicini”, perché a Firenze, di medaglie d’argento, ne hanno già la cantina piena. Forza viola, fateci godere di gusto, per una volta. Ma senza farci venire un infarto, che di emozioni forti ne abbiamo già avute abbastanza.

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