Manchester United: I rossi che vedono nero


C’era una volta un Manchester United che faceva tremare il mondo. Correva l’epoca di Sir Alex Ferguson, un druido scozzese che con un’occhiata trasformava sbarbatelli in leggende e avversari in vittime sacrificali. Oggi? Quel Manchester United è un ricordo sbiadito, un dagherrotipo polveroso che i tifosi tirano fuori nei momenti di nostalgia, tipo quando si perde 3-0 in casa col Tottenham. La stagione 2024-2025 dei Red Devils è un kolossal hollywoodiano, ma di quelli girati con due soldi e un regista ubriaco: un disastro epico, con tanto di effetti speciali scadenti e un finale che nessuno vuole vedere.

Partiamo dai numeri, che sono come uno schiaffo in faccia dato con un guanto di velluto: ad oggi, dopo 31 giornate di Premier League, lo United è tredicesimo con 38 punti. Dieci vittorie, otto pareggi, tredici sconfitte, e una differenza reti di -4 che sembra urlare “aiuto” in tutte le lingue del mondo. In Europa League? Tre pareggi e una vittoria in quattro partite, un cammino così glorioso che persino le squadre di terza categoria si stanno chiedendo se invitare i Red Devils per un’amichevole. L’Old Trafford, un tempo fortezza inespugnabile, oggi è un teatro dove gli avversari vengono a fare picnic e a portarsi via i tre punti come souvenir.

E chi guida questa nave che affonda con la grazia di un Titanic ubriaco? Ruben Amorim, il portoghese arrivato a novembre 2024 dopo un interregno di Ruud van Nistelrooy, che almeno aveva il merito di non perdere mai (tre vittorie e un pareggio in quattro partite, un miracolo degno di Lourdes). Prima ancora c’era Erik ten Hag, il profeta olandese del “progetto” che, dopo quattro vittorie, sei pareggi e quattro sconfitte, è stato gentilmente accompagnato alla porta il 28 ottobre 2024. “Abbiamo un piano”, diceva Erik, con la stessa convinzione di chi cerca di vendere un ombrello bucato sotto un diluvio. Il piano, a quanto pare, era far rimpiangere persino i tempi di David Moyes, e ci è riuscito alla grande.

Ma passiamo alla squadra, il vero cuore pulsante di questa tragicommedia. Bruno Fernandes, il capitano, è un fenomeno a intermittenza: un giorno ti incanta con un assist al bacio, il giorno dopo sembra un turista smarrito che cerca l’uscita dall’Old Trafford. Marcus Rashford corre come un fulmine, ma quando arriva davanti alla porta è come se gli avessero sostituito il pallone con una patata bollente: zero idee, zero gol. Rasmus Højlund, il bomber danese pagato una fortuna, segna col contagocce, e quando lo fa i tifosi esultano come se avessero vinto la lotteria, perché ormai è un evento raro. E poi c’è Harry Maguire, il difensore che sembra un carro armato senza benzina: imponente, ma sempre un passo indietro rispetto all’azione. I nuovi arrivi? Matthijs de Ligt e Noussair Mazraoui, presi dal Bayern Monaco, sembrano ancora chiedersi dove siano finiti, mentre Joshua Zirkzee, ex Bologna, pare un pesce fuor d’acqua in attesa che qualcuno gli spieghi cos’è la Premier League.

E non possiamo dimenticare i veri burattinai di questo circo: i Glazer. La famiglia americana che possiede il club è un capolavoro di avidità mascherata da gestione sportiva. Investire nella squadra? Macché, meglio contare i dollari mentre l’Old Trafford perde pezzi come un rudere medievale. I tifosi protestano, scrivono striscioni, lanciano hashtag su X, ma è come sparare a un elefante con una cerbottana: i Glazer non si scompongono, seduti comodi sulle loro poltrone oltreoceano. Sir Jim Ratcliffe, il nuovo co-proprietario con il suo 27,7% di quote, aveva promesso una rivoluzione, ma per ora ha solo cambiato qualche sedia in ufficio e fatto dichiarazioni che sembrano uscite da un generatore automatico di frasi motivazionali.

La stagione è un campionario di figuracce. Le sconfitte contro Liverpool e Tottenham (entrambe 3-0 in casa) sono state un inno alla disfatta, con i tifosi che uscivano dallo stadio come se avessero appena visto un film horror. Il 3-1 subito dal Brighton a gennaio 2025 ha fatto dire ad Amorim che questa è “probabilmente la peggiore squadra nella storia del club”, e per una volta non sembrava esagerare. Persino il Luton Town, che fino a ieri giocava nei campetti di periferia, si è permesso di sognare di battere lo United, e non è andata poi così lontano dall’impresa.

Eppure, in questo mare di disperazione, c’è una perversa bellezza. I tifosi del Manchester United, con un masochismo che farebbe invidia a un monaco medievale, continuano a riempire lo stadio, a cantare “Sweet Caroline” e a sperare nella redenzione. Ogni partita è “quella buona”, ogni allenatore è “il prescelto”, ogni acquisto è “il salvatore”. È una fede incrollabile, quasi commovente, che però si scontra con una realtà brutale: questo United non è più un gigante, ma un nano con le scarpe bucate che inciampa nei propri lacci.

Il calcio, intanto, va avanti. Il City di Guardiola vince trofei come se piovesse, il Liverpool sogna in grande, l’Arsenal si rialza con prepotenza. E lo United? Sta lì, a galleggiare nella mediocrità, con Amorim che prova a insegnare un 3-4-3 a una squadra che sembra non capire nemmeno il 4-4-2 della PlayStation. “Ci vuole tempo”, dice il portoghese, e forse ha ragione. Ma a Manchester il tempo sembra essersi fermato a vent’anni fa, e l’orologio continua a ticchettare solo per contare i giorni fino alla prossima sconfitta.

In fondo, questa stagione è lo specchio di un club che si aggrappa al passato come un naufrago a una boa bucata, un aristocratico in rovina che si pavoneggia con un monocolo rotto e una vestaglia mangiata dalle tarme. Mentre i tifosi intonano “Glory, Glory Man United” con la disperazione di chi canta sotto la pioggia senza ombrello, la realtà li guarda dall’alto e sghignazza: “Glory? Ma per favore, tornate a lucidare le coppe di vent’anni fa”. Il calcio danza altrove, tra i palazzi scintillanti del City, i sogni rossi del Liverpool e la riscossa dell’Arsenal, ma qui, all’Old Trafford, il tempo è un disco rotto che suona sempre la stessa nenia stonata. Eppure, attenzione: da questo abisso di figuracce e promesse tradite potrebbe nascere un’epica riscossa, un urlo che squarcia il silenzio della mediocrità. Oppure no, e sarà l’ennesima stagione da archiviare tra le barzellette. Sipario, signori: il teatro dei sogni è chiuso per lavori, ma nessuno sa dove siano finiti gli operai.


Lascia un commento

search previous next tag category expand menu location phone mail time cart zoom edit close