Inter, la rimonta di Parma: un film già visto, ma con meno popcorn e più malox

Ci sono serate in cui il calcio ti ricorda che non è uno sport, ma un esperimento sociale per testare la tua capacità di sopportazione. E poi ci sono serate come quella di Parma, dove l’Inter decide di trasformare una partita che sembrava una passeggiata in un thriller psicologico diretto da Alfred Hitchcock, ma con la regia di un Inzaghi che, a fine gara, avrà probabilmente cercato “come si scrive rimonta” sul dizionario, sperando fosse un errore di battitura. Spoiler: non lo era.
Andiamo con ordine, perché questa storia merita di essere sviscerata come un piatto di tortelli d’erbetta lasciato troppo tempo sotto il sole emiliano. Siamo al Tardini, stadio che per i nerazzurri è un po’ come la cantina di casa: ci vai, trovi sempre qualcosa di vecchio e polveroso, ma alla fine te ne vai con un sorriso. O almeno così dovrebbe essere. L’Inter parte forte, come un bambino che apre i regali di Natale: 2-0 in 45 minuti, gol di Darmian (quello che corre per tutti) e Thuram. Tutto bene, no? Macché. Il secondo tempo è la prova che il calcio non è una scienza esatta, ma un’arte drammatica con un copione scritto da un clown.
Il Parma, che fino a quel momento sembrava un avversario buono giusto per fare numero, si ricorda che in Serie A non si regala niente, nemmeno un punto a chi indossa una maglia a righe che sembra un codice a barre. E così, tra una distrazione difensiva e un’amnesia collettiva, i gialloblù rimontano. Due gol, come due schiaffi in faccia a chi stava già pregustando i tre punti e una serata tranquilla davanti a Netflix. Finisce 2-2, e l’Inter torna a casa con la coda tra le gambe e un bel “ve l’avevo detto” stampato sulla faccia di chi sa che questa squadra ha un talento innato per complicarsi la vita.
Ma parliamone, perché qui c’è materiale per un trattato di psicologia applicata al pallone. L’Inter di Inzaghi è come un amico che ti invita a cena promettendo lasagne fatte in casa e poi ti serve una pizza surgelata bruciata sui bordi. Parte bene, ti illude, ti fa credere che stavolta sarà diverso. E invece no. Il copione è sempre lo stesso: dominio iniziale, qualche occasione sprecata (ciao Lautaro, ti vedo un po’ distratto, hai perso il manuale del bomber?), e poi il crollo verticale, quello che ti fa passare dalla modalità “scudetto” a “salvezza” in meno di mezz’ora. A Parma è andata proprio così: un primo tempo da padroni del campo, un secondo da spettatori paganti di un film horror intitolato “La vendetta dell’Emilia”.
Il Parma non ha fatto nulla di straordinario, intendiamoci: due gol su due errori, uno di posizionamento e uno di concentrazione. Ma il punto è proprio questo: l’Inter regala. È la squadra più generosa d’Italia, un Babbo Natale fuori stagione che distribuisce punti a destra e manca, soprattutto quando meno te lo aspetti.
E Inzaghi? Oh, Simone, dolce Simone. Lo vedo in panchina, con quel sopracciglio alzato che sembra dire “ma davvero sta succedendo di nuovo?”. È l’allenatore perfetto per l’Inter: elegante, preparato, ma con quel pizzico di masochismo che lo rende ideale per gestire una squadra che vive di alti e bassi come una montagna russa progettata da un ingegnere ubriaco. Dopo la partita ha detto le solite cose: “Dobbiamo migliorare, abbiamo avuto un calo, ci è mancata lucidità”. Traduzione: “Ragazzi, non so più come dirvelo, smettetela di farmi invecchiare prima del tempo”. E i tifosi, che lo guardano con gli occhi lucidi, vorrebbero solo abbracciarlo e dirgli “tranquillo, ci siamo abituati”.
Il Parma ha capito che bastava aspettare, tanto prima o poi il black-out sarebbe arrivato. E così è stato: un corto circuito generale, un “tutti fermi” che ha trasformato una partita vinta in un pareggio che sa di sconfitta.
Sui social, ovviamente, è scoppiato il caos. Il solito copione, con l’aggiunta di qualche meme geniale che trasforma Bastoni in un vigile urbano che dirige male il traffico. Eppure, in fondo, lo sappiamo: tifare Inter è questo. È amare una squadra che ti fa sognare e poi ti scaraventa giù dal letto senza preavviso.
Ora, non fraintendetemi: il Parma va applaudito. Ha avuto il merito di crederci, di non mollare, di approfittare di ogni errore con la freddezza di un killer professionista. Ma il problema non è il Parma. Il problema è l’Inter, che ha questa capacità unica di rendere ogni partita un’Odissea, anche quando potrebbe essere una gita fuori porta.
Cosa resta di questa serata? Un punto che sa di beffa, una classifica che non si muove, e la sensazione che questo scudetto, se mai arriverà, sarà sudato fino all’ultima goccia. C’è chi direbbe che è il bello di tifare una squadra così, un amore incomprensibile ma irresistibile. Altri aggiungerebbero che è un fascino perverso, quasi masochistico, che ti tiene incollato nonostante tutto. Io invece spengo la tv e mi chiedo se sia troppo tardi per tifare curling. Almeno lì, quando scivoli, è solo colpa del ghiaccio.

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