Ci sono giorni in cui la Fiorentina sembra una squadra assemblata per errore, tipo un mobile dell’Ikea montato da un cieco con le istruzioni in svedese, e poi ci sono giorni in cui, per un capriccio del fato, decide di giocare a calcio come se sapesse cosa sta facendo. Contro il Panathinaikos, in quel luna park chiamato Conference League – una coppetta che sembra l’Europa League dopo una crisi di mezz’età – la Viola si inventa un 3-1 che la spedisce ai quarti di finale con la grazia di chi ti guarda e dice: “Oh, sorpresi, eh?”. E lo fa con una prestazione che non sarà da antologia, ma che almeno ci risparmia la solita figura da pagliacci tristi. Una serata pragmatica, con Mandragora, Guðmundsson e Kean che si ricordano che il pallone non è solo un soprammobile, e un rigore incassato sul finale che serve giusto a ricordarci che la Viola non sa vincere senza un brivido da due soldi, neanche contro una squadra che sembra più un chiosco di pita che un avversario degno di nota.
Il sipario si solleva con una Fiorentina che, per una volta, non sembra catapultata in campo direttamente da un reality show di quart’ordine. Al 12’ ci pensa Rolando Mandragora a dare il via alla festa: intercetta un pallone con la ferocia di un esattore che fiuta un debitore, lo aggiusta con la calma di un burocrate che timbra scartoffie e scaglia un destro secco e angolato che si infila in rete, lasciando Dragowski, ex viola, immobile come un vigile urbano davanti a un parcheggio creativo, con l’espressione di chi ha appena buttato il biglietto vincente del superenalotto. 1-0, e il Panathinaikos vacilla come un turista che ha osato chiedere “dov’è il bagno?” a un fiorentino con il fuoco nelle vene. Non proprio un’impresa da Odissea, visto che i greci si presentano con la spocchia di chi crede che il 3-2 dell’andata sia un lasciapassare per la beatificazione, salvo scoprire che la Viola, quando non è impegnata a farsi del male con maestria, sa pure colpire come si deve.
Il raddoppio arriva al 24’, e a firmarlo è Albert Guðmundsson, l’islandese che per una sera, decide di non fare la figura del turista: Si fa tutta la fascia con il pallone tra i piedi e appena entrato in area scaglia la sfera sul primo palo con la precisione di un cecchino dopato di espresso, 2-0, e a quel punto il Panathinaikos sembra già pronto a tirar fuori i fazzoletti, con una difesa che si spalanca come un ombrello scassato sotto un ciclone. La Fiorentina, invece, incassa e ringrazia, con la ferocia di un rigattiere che ti vende un divano sfondato spacciandolo per un pezzo di design.
Il secondo tempo scorre con meno scintille, ma la Viola non si fa pregare per sprangare la porta della baracca. ,Al 75’ arriva il colpo del ko con Moise Kean. L’azione parte da un lancio lungo di Ranieri dalla propria metà campo, un pallone che sembra più un “tieni e arrangiati” che un assist da manuale. Kean, però, lo fa suo: lo protegge con il fisico da buttafuori davanti a un Maksimovic spaesato, si gira con una finta che manda il difensore a prendere un caffè al bar e, da posizione defilata piazza un destro rasoterra che si infila nell’angolo basso alla destra di Dragowski, il quale, si allunga come un gatto con la sciatica ma arriva con la velocità di un carro funebre a pedali. 3-0, e il match sembra chiuso, con i tifosi viola che osano sognare una notte senza incubi. Ma siccome la Fiorentina è la Fiorentina e non il Real dei tempi che furono, all’81’ il Panathinaikos trova il modo di ricordarci che non è ancora ora di spegnere le luci: Fotis Ioannidis trasforma un rigore dopo un intervento da circo equestre di Fagioli in area, che stende Ounahi con la grazia di un elefante in un negozio di porcellane. L’arbitro Beaton, ben piazzato, non ha dubbi e indica il dischetto. Un tiro deciso che spiazza De Gea. 3-1, e per un attimo torna il terrore delle figuracce da antologia, ma stavolta la Viola non si scompone: alza le spalle, tiene il fortino e si porta a casa il bottino con la strafottenza di chi ha appena fregato il banco a briscola con un tre di bastoni truccato.
Rispetto all’andata, dove i greci avevano vinto 3-2 grazie a una rimonta viola lampo dal 2-0 al 2-2 seguita da un crollo degno di un film di quart’ordine, stavolta la Fiorentina mostra un volto più concreto. Niente numeri da circo Barnum, niente regali natalizi agli avversari: solo una prestazione solida, con Mandragora che si scopre cecchino da fuori area, Guðmundsson che tira fuori un colpo da maestro con la freddezza di un killer sottozero, e Kean che ricorda al mondo che non è ancora pronto per il pensionamento anticipato. Il Panathinaikos, dal canto suo, arriva con la sicumera di chi pensa che il 3-2 dell’andata sia un lasciapassare per la gloria eterna, come se avessero battuto il Brasile di Pelé e non una squadra che spesso sembra un’accozzaglia di disperati usciti da una bisca clandestina. Dragowski, l’ex viola tradito dal destino, incassa tre gol, con una difesa che sembra più un colabrodo crivellato da un mitra che un reparto con un briciolo di dignità. Ioannidis, con il suo rigore, prova a mettere una pezza, ma è come lucidare il ponte del Titanic con uno straccio: carino, ma inutile.
Questa Fiorentina non sarà un’orchestra sinfonica diretta da un genio, sia chiaro. È più un gruppo di scapestrati che ogni tanto azzecca la nota giusta, e la Conference League non è certo la Champions di quando il calcio aveva un’anima. Ma vuoi mettere il gusto di vedere i greci tornare a casa con la faccia di chi ha perso la schedina per un gol al 98’? Palladino, il sant’uomo che allena con la serenità di un equilibrista su un filo di spago marcio, si gode una tregua che durerà meno di un gelato sotto il solleone, perché a Firenze la pace è un lusso che svanisce più veloce di un petardo zuppo. I quarti di finale contro il Celje ci diranno se questa Viola ha le gambe per sognare o se tornerà presto a essere la solita squadra da “quasi ma non proprio”. Ma il vero spasso arriva domenica, quando la Fiorentina se la vedrà in campionato con una Juventus reduce da un 4-0 casalingo contro l’Atalanta che sa di umiliazione da Guinness. Una Vecchia Signora con le giunture scricchiolanti, un Thiago Motta che probabilmente starà ancora cercando di capire se il suo “calcio champagne” è finito in una bottiglia di spumante scaduto, e un Cristiano Giuntoli che, dopo aver costruito una squadra da milioni di proclami, si ritrova a contare i cocci come un antiquario dopo un terremoto. La Fiorentina, con questo 3-1 in saccoccia, potrebbe pure presentarsi al Franchi con un sorrisetto beffardo e dire: “Ciao, bianconeri, vi siete ripresi dalla lezione di ballo dell’Atalanta o serve un altro passo a due?”. Certo, guai a cantar vittoria: la Viola sa trasformare un’occasione d’oro in una figuraccia. Ma vuoi mettere il piacere di stuzzicare una Juve con le ossa rotte, un allenatore che sembra un poeta maledetto in crisi creativa e un direttore sportivo che ha speso l’estate a promettere meraviglie per poi ritrovarsi con un pugno di mosche? Non sarà una sinfonia da Nobel, ma è un 3-1 che funziona, e tanto ci basta. Ora sotto con il prossimo giro, che a Firenze la gloria è un’ospite che non si ferma mai troppo a lungo. E scusate se è poco, davvero.
