Milan e Inter, rimonte da infarto contro Lecce e Monza
Immaginatevi la scena: sei a cena con un amico che, dopo aver ordinato un antipasto abbondante e un primo da far invidia a un banchetto medievale, si addormenta con la faccia nel piatto. Poi, d’improvviso, si sveglia, si pulisce la bocca col tovagliolo e attacca il secondo come se niente fosse, con una voracità che spiazza tutti i commensali. Ecco, questo è più o meno il riassunto di quello che hanno combinato Milan e Inter nella loro ultima uscita contro Lecce e Monza. Due squadre che, per motivi diversi ma con un copione simile, hanno deciso di regalare ai tifosi un elettrocardiogramma gratuito prima di ricordarsi che, sì, sanno anche giocare a calcio. E vincere, pure.
Partiamo dall’Inter, perché quando sei la capolista e ti presenti contro l’ultima della classe, un po’ di supponenza te la puoi pure permettere. O no? Evidentemente no. I nerazzurri si sono presentati in campo con l’aria di chi ha già prenotato i tre punti su Amazon Prime, consegna express inclusa. Ma il Monza, che ultimamente sembrava un pugile suonato con le braccia legate dietro la schiena, ha tirato fuori un gancio destro e un montante che hanno mandato Inzaghi a cercare ossigeno in panchina. Due gol presi, uno dietro l’altro, come se la difesa fosse impegnata a fare un TikTok collettivo invece di marcare gli avversari. De Vrij e Pavard? Sembravano due turisti in gita, con la mappa al contrario e lo zainetto pieno di panini. A un certo punto, il tecnico interista deve aver pensato di chiamare un esorcista, ma poi si è ricordato che ha una panchina lunga come un’autostrada e ha deciso di cambiare le carte in tavola.
E qui entra in scena la reazione. Perché l’Inter, quando si sveglia, è come un espresso doppio senza zucchero: ti colpisce dritto in faccia. Arnautovic, che di solito è più famoso per i gol sbagliati che per quelli segnati, ha infilato la porta avversaria con la delicatezza di un elefante in un negozio di porcellane. Poi, un tiro da cecchino di Hakan Çalhanoğlu ha rimesso le cose in pari. E alla fine, la zampata decisiva, quella che ha fatto urlare i tifosi e tirare un sospiro di sollievo a Inzaghi, arrivato con la solita freddezza di chi sa che, anche se dorme per mezz’ora, alla fine il lavoro lo porta a casa. Tre a due, arrivederci e grazie. Ma il primo tempo? Un mistero che neanche Sherlock Holmes potrebbe risolvere.
Passiamo al Milan, perché se l’Inter ha fatto la dormigliona arrogante, i rossoneri hanno deciso di interpretare il ruolo della squadra che ama complicarsi la vita per sport. Contro il Lecce, Conceiçao – che ormai sembra il protagonista di un reality intitolato “Sopravvivenza in panchina” – ha visto i suoi andare sotto di due gol con una facilità disarmante. Due a zero, e il Diavolo sembrava più un diavoletto spaurito, di quelli che si nascondono sotto il letto quando arriva il temporale. La difesa? Un colabrodo che neanche un corso intensivo di cucina con Cannavacciuolo potrebbe salvare. I tifosi, sugli spalti e sui divani, già pronti a lanciare il telecomando contro il muro, con quel misto di rassegnazione e speranza che solo un milanista doc può capire.
Ma attenzione, perché questo Milan ha un superpotere: funziona solo quando è con l’acqua alla gola. È come un supereroe pigro che si attiva solo quando il cattivo sta per distruggere il pianeta. E così, ecco che entra in scena Christian Pulisic, l’americano con la faccia da bravo ragazzo e il piede che parla italiano meglio di molti italiani. Prima un rigore trasformato con la calma di chi sta ordinando un cappuccino al bar, poi il gol della vittoria, arrivato tardi ma puntuale come un treno regionale che però, per una volta, non fa ritardo. Tre a due anche qui, e il Milan che si riscopre squadra da rimonta, una specie di specialità della casa che ormai Conceiçao potrebbe brevettare.
E allora, cosa ci dicono queste due partite? Che le milanesi hanno un debole per il brivido, una passione per il rischio che farebbe impallidire un giocatore d’azzardo incallito. L’Inter, con la sua presunzione da prima della classe, ha rischiato di buttare via punti preziosi contro un Monza che, diciamolo, sembrava più morto che vivo fino a un attimo prima. Il Milan, invece, continua a vivere sull’orlo del precipizio, come se giocare in modo normale fosse troppo noioso per i gusti di Conceiçao e dei suoi. Due facce della stessa medaglia, unite da un filo rosso: la capacità di tirarsi fuori dai guai quando tutto sembra perduto.
I numeri parlano chiaro. L’Inter, con questa vittoria, resta lassù, a guardare tutti dall’alto con quel sorrisetto sornione che tanto piace ai suoi tifosi. Il Milan, invece, si aggrappa a questi tre punti come a una ciambella di salvataggio in mezzo al mare, sperando che prima o poi arrivi una partita in cui non debba rimontare per dimostrare di essere vivo.
E i tifosi? Quelli dell’Inter, abituati a dominare ma con quel retrogusto di paura che ogni tanto riaffiora, si godono la vittoria ma con un occhio al prossimo passo falso da evitare. Quelli del Milan, invece, vivono in una montagna russa emotiva che ormai è diventata routine: un giorno ti esaltano, quello dopo ti fanno venire voglia di trasferirti in un eremo senza Wi-Fi. Eppure, alla fine, entrambe le tifoserie hanno qualcosa da festeggiare: la capacità di soffrire, certo, ma anche di rialzarsi.
Poi c’è il capitolo allenatori. Inzaghi, che a metà partita sembrava pronto a tirar fuori un manuale di autodifesa per svegliare i suoi, ha dimostrato ancora una volta che sa leggere le partite, anche quando partono storte. Conceiçao, invece, è l’uomo delle missioni impossibili, un Tom Cruise in giacca e cravatta che aspetta l’ultimo secondo per disinnescare la bomba. Due stili diversi, due approcci opposti, ma un risultato comune: tre punti in saccoccia e un’altra storia da raccontare.
E i giocatori? Beh, Arnautovic e Pulisic sono i simboli di queste rimonte. Il primo, eterno incompiuto che ogni tanto si ricorda di essere un attaccante, ha dato il la alla riscossa nerazzurra. Il secondo, con quella faccia da ragazzo della porta accanto, sta diventando il faro di un Milan che senza di lui probabilmente starebbe ancora annaspando. Ma non sono soli: dietro di loro ci sono squadre che, pur con tutti i loro difetti, hanno un cuore grande così. O almeno, ce l’hanno quando decidono di tirarlo fuori.
Insomma, queste due partite sono state un concentrato di tutto ciò che rende il calcio milanese unico: momenti di blackout totale, giocate da standing ovation e un pizzico di follia che tiene tutti col fiato sospeso. L’Inter che si specchia nella sua grandezza ma inciampa nella sua arroganza, il Milan che si riscopre vivo solo quando è con le spalle al muro. Due modi diversi di vincere, ma con un denominatore comune: la sveglia che suona sempre un po’ troppo tardi. E mentre aspettiamo di vedere cosa combineranno alla prossima, una cosa è certa: a Milano, di noia, non si muore mai.
