Oh, Juventus, gloriosa Vecchia Signora, un tempo sinonimo di dominio e trofei, oggi ridotta a un circo itinerante con più debiti che idee. L’eliminazione dal PSV in Champions League – sì, proprio quel PSV che in Italia lotterebbe per un posto in Conference League – è solo l’ultima perla di una stagione che definire “fallimentare” è un eufemismo gentile. È come chiamare “leggermente sgradevole” un pugno nello stomaco dopo aver mangiato un piatto di cozze avariate.
Parliamo di numeri, perché i numeri non mentono, a differenza di certi bilanci bianconeri degli ultimi anni. Oltre 200 milioni spesi sul mercato – una cifra che farebbe arrossire persino uno sceicco del Qatar – per ritrovarsi a febbraio fuori dalla Champions, lontanissimi dalla lotta scudetto e con una squadra che sembra un’accozzaglia di promesse non mantenute e giocatori sopravvalutati. Cristiano Giuntoli, il “genio” che a Napoli costruiva squadroni con due lire e un sorriso, a Torino è diventato la caricatura di sé stesso: un uomo che sembra passare le giornate a giocare a Football Manager con il budget di una squadra di Serie B, ma senza salvare la partita. Risultato? Acquisti come Douglas Luiz, che appare e scompare come un fantasma in una sitcom di quart’ordine, e un Koopmeiners che forse pensava di essere stato comprato per fare il turista a Torino.
E poi c’è Dusan Vlahovic, il bomber da 80 milioni, un investimento che avrebbe dovuto far tremare le difese di mezza Europa. Peccato che in Champions si sia svegliato solo contro squadre di medio calibro, mentre contro il PSV ha preferito colpire pali e fare presenza scenica, come un attore di teatro che dimentica le battute. Il meglio deve ancora venire: il serbo, pagato a peso d’oro, potrebbe svignarsela a parametro zero nel 2026, lasciando alla Juventus una minusvalenza da far impallidire anche i più creativi contabili di via Druento. Roba da standing ovation, ma solo per i tifosi avversari.
Intanto, i debiti della Juventus crescono come un soufflé mal riuscito: 199 milioni nel 2023/24, un passivo che l’UEFA guarda con sospetto, tanto che c’è chi sussurra di un possibile nuovo ban europeo. Ma tranquilli, a Roma c’è un processo penale in corso – aggiotaggio, false fatturazioni, ostacolo alla vigilanza – che potrebbe regalare alla società qualche altro trofeo, magari una bella targa commemorativa per “i reati più creativi degli ultimi anni”. Gli ex vertici come Agnelli e Nedved sono sotto i riflettori, mentre la nuova dirigenza sembra impegnata a lucidare lo specchio per non vedere il disastro riflesso.
Thiago Motta, l’allenatore che doveva portare aria fresca e un gioco spumeggiante, si è rivelato un illusionista senza coniglio nel cilindro. La sua Juventus è un’ode alla mediocrità: un primo tempo decente contro il PSV, poi un crollo verticale che neanche un palazzo di carte sotto un ventilatore. Le sue scelte tattiche? Un mistero degno di Dan Brown, ma senza lieto fine. La squadra è ferma, statica, un po’ come i tifosi che a fine partita si chiedono perché abbiano speso soldi per vedere questo scempio.
E così, mentre Napoli e Inter si giocano lo scudetto, la Juventus annaspa a metà classifica, con i sogni di gloria sostituiti da incubi di bilanci in rosso e aule di tribunale. Elkann, il gran capo, potrebbe intervenire, ma forse è troppo impegnato a contare i soldi di Stellantis per preoccuparsi di una squadra che sembra un investimento fallito persino per i suoi standard. La morale? La Juventus di oggi è un monito vivente: spendere tanto non significa spendere bene, e la grandeur del passato non basta a coprire il tanfo di un presente marcio. Arrivederci Champions, arrivederci scudetto, benvenuti nella terra di nessuno. E buon processo a tutti!
