Dopo stagioni che hanno oscillato tra l’arte della navigazione aerea (dei palloni, s’intende) e momenti di pura, inaspettata brillantezza, Cristiano Biraghi ha deciso di prendere il largo verso Torino. Il terzino sinistro, che ha portato con un orgoglio quasi commovente la fascia di capitano che fu di Davide Astori, ha dato il suo addio alla Fiorentina, lasciando un vuoto che sarà difficile da riempire, soprattutto in tribuna.
Biraghi è stato un capitano nel vero senso della parola, almeno se consideriamo che capitano significa “colui che guida la nave”. E lui ha guidato la Fiorentina in acque inesplorate, con crociere di cross che spesso si concludevano in posti inaspettati, come i posti di prima fila della curva avversaria. Tuttavia, il suo attaccamento alla maglia viola e la sua capacità di mantenere la calma in tempesta (di critiche) sono stati esemplari.
L’eredità di Astori è sempre stata un peso, ma Biraghi ha saputo portarla con una dignità che ha fatto dimenticare, almeno per qualche attimo, le sue avventure balistiche. Indossare quella fascia significava non solo guidare la squadra, ma anche ricordare a tutti che il calcio è uno sport dove anche un passaggio sbagliato può diventare leggenda.
Sul campo, Biraghi ha regalato momenti di pura magia, alternati a sessioni di “come non si fa” che avrebbero meritato un corso universitario. La sua capacità di sorprendere l’avversario, il compagno di squadra e talvolta se stesso, ha reso ogni partita un piccolo spettacolo di varietà. Ma, bisogna ammetterlo, i tifosi hanno imparato a temere e amare ogni suo tocco di palla.
Con il suo trasferimento al Torino, si chiude un capitolo di imprecisione storica a Firenze. Ora Torino avrà il piacere di sperimentare il “Biraghi Show”, sperando che i suoi passaggi trovino almeno il campo di gioco. Forse, con un po’ di fortuna e una nuova filosofia di gioco, chissà, potrebbe diventare il maestro del passaggio… o almeno del lancio del giavellotto.
Alla Fiorentina rimane il ricordo di un capitano che ha onorato la maglia a modo suo, che ha vissuto la pressione della fascia e che ha dimostrato che nel calcio, come nella vita, non è sempre il risultato che conta, ma la sorpresa, anche quando quella sorpresa è un pallone che finisce fuori dal campo.
